Ecco perché la Casa Bianca preferisce Silvio

Ecco perché la Casa Bianca preferisce Silvio

Nello Studio Ovale della Casa Bianca ieri si è consumato il primo tempo di una partita che oggi si concluderà con il discorso di Silvio Berlusconi al Congresso. Quando George W. Bush abbandona il sentiero stretto del linguaggio diplomatico per seguire l’autostrada dell'endorsement, cioè dell’appoggio alla linea politica del governo italiano, esaltando la «stabilità» e la necessità di non «cambiare il governo ogni anno» perché «è molto più facile fare una politica comune quando si tratta con la stessa persona anno dopo anno», il segnale è chiaro: gli Stati Uniti preferirebbero continuare ad avere rapporti con questo governo e con questa maggioranza.
Il presidente americano durante la conferenza stampa ha spiegato che quello con Berlusconi non è un rapporto politico, ma strategico e questo ovviamente lascia la porta aperta alla realpolitik e al risultato dell’urna dopo il 9 aprile. Parole chiare, ma non per l’agenzia Ansa che ha sentito il bisogno di interpellare la Casa Bianca per far ribadire da una fonte anonima - alle 21 ora italiana - che non c’era alcun «avallo politico». Il sito online di Repubblica riesce superarsi: la frase della fonte anonima finisce direttamente sulle labbra di Bush. Cosa ha detto George di così indigeribile su Silvio? Il presidente americano ha spiegato che il valore aggiunto di Berlusconi è stato quello della stabilità dell’esecutivo e la coerenza della politica estera. Un importante riconoscimento per il centrodestra e un campanello d’allarme per il centrosinistra che sulla politica estera è diviso alla partenza e promette di esserlo ancor di più alla meta.
Il second term di Bush era iniziato all’insegna della volontà di riavvicinare Stati Uniti e Europa dopo lo strappo della guerra in Irak, questa strategia viene confermata in tutti i report ufficiali, ma la crisi politica del Vecchio Continente non facilita questa azione e per questo l’Italia continua ad essere un anello fondamentale della catena diplomatica americana.
Se per la guerra in Irak, lo strappo con Francia e Germania era tutto sommato calcolato, nel prossimo round (per ora diplomatico) con l’Iran gli Stati Uniti hanno bisogno di un largo consenso. Questo non indebolisce, ma rafforza la posizione del governo italiano agli occhi della Casa Bianca (tanto che Bush ha rivelato di aver «chiesto un parere» a Berlusconi sulla crisi con il Paese degli ayatollah). Al contrario, la visione prodiana dell’Europa sembra puntare a sganciare sempre più la Ue dal legame transatlantico. Non a caso i due presidenti hanno parlato di Afghanistan e della Nato, e su quest’ultimo punto - l’Alleanza Atlantica - assumono un significato particolare le parole pronunciate dal segretario generale, Jaap de Hoop Scheffer, durante la sua recente visita in Italia: «È essenziale che la distanza tra la Nato e la Ue venga drasticamente ridotta». Con Prodi quella distanza è destinata a crescere.
Un cambio a Palazzo Chigi dunque potrebbe essere traumatico, soprattutto se il leader è il Professore ma chi detta la linea è Fausto Bertinotti. Non solo il suo «europeismo» non è in sintonia con la visione politica statunitense, ma il programma di politica estera dell’Unione è contraddittorio, le posizioni sull’Irak e la global war on terror sono troppo distanti dall’interesse nazionale americano.
Il dibattito politico italiano viene monitorato puntualmente dal Dipartimento di Stato e l’arrivo del nuovo ambasciatore a Roma, Ronald P. Spogli, ha dato ulteriore incisività alla diplomazia Usa nel nostro Paese. Spogli parla benissimo l’italiano e ha incontrato fin dai primi giorni della sua missione i leader della maggioranza e dell’opposizione. Un’azione diplomatica bipartisan che si è intensificata ulteriormente grazie al lavoro della sezione politica dell’ambasciata di via Veneto, che svolge con discrezione le sue analisi, mentre gli incontri con esponenti politici di entrambi gli schieramenti si susseguono e il flusso di informazioni tra Roma e Washington è costante. Nessuna interferenza nella politica interna, ma tutti osservano con attenzione l’approssimarsi delle elezioni del 9 aprile, la data che ha fatto il suo ingresso nello Studio Ovale.
Oggi Berlusconi farà il suo discorso al Congresso.

Un’occasione storica. E se il Presidente è il centro del potere, i congressmen sono quelli che ne influenzano le scelte politiche e in gran parte condividono l’obiettivo del secondo mandato di Bush per «un’Europa unita e libera».

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