Caro Sechi,
in riferimento al Suo articolo del 3 maggio vorremmo osservare quanto segue: «Pensare che esista una incompatibilità - per Emma Bonino - tra lessere fondatrice di Non cè pace senza giustizia e la carica di Ministro della Difesa è una tesi davvero curiosa: è come dire che battersi per la supremazia del diritto internazionale, contro ogni forma di impunità per reati gravissimi come il genocidio, i crimini contro lumanità e i crimini di guerra sia in contrapposizione allidea di difesa della sicurezza nazionale. Al limite, è esattamente il contrario.
È vero: dalla sua creazione, nel 1994, lassociazione radicale «Non cè pace senza giustizia» si è battuta per laffermazione della giustizia penale internazionale, con la promozione dei tribunali ad hoc per lex Jugoslavia ed il Ruanda (entrambi fortemente sostenuti, tra gli altri, dagli Stati Uniti in seno al Consiglio di Sicurezza) e poi con la battaglia per listituzione della Corte penale permanente, osteggiata è vero da Stati Uniti, Russia, Cina ed altri, ma sostenuta con forza da oltre cento paesi che ne hanno ratificato lo Statuto, tra cui tutti i membri dellUnione europea. Paesi, come il nostro del resto, impegnati anchessi in missioni di peace-keeping, ma che non trovano affatto dostacolo che esista un meccanismo giurisdizionale internazionale che interagisca, se del caso, con i tribunali nazionali. A ogni incontro fra Unione europea e Stati Uniti viene sottolineata la divergenza su questo punto, senza per ciò compromettere linsieme delle relazioni transatlantiche.
Come «Non cè pace senza giustizia» ad esempio, noi cooperiamo strettamente con lamministrazione americana ed i governi di altri Paesi, fra cui il nostro, in un programma di promozione e rafforzamento della democrazia nel Medio Oriente e nel Nord Africa varato dal G8 che si prefigge di allargare le libertà e la sfera dei diritti individuali in quei Paesi, aiutando gli attori non governativi locali, e contribuire in tal modo ad «aprire» quelle società e sconfiggere il terrorismo.
Quanto al merito dellarticolo, facciamo osservare che il ministero della difesa non è più il ministero della guerra descritto nellarticolo, con tanto di rimando a von Clausewitz e alla storica battaglia di Salamina del 480 a.C. A dire la verità, non ci sembrano le evocazione più calzanti alla situazione con la quale ci confrontiamo oggi: linterdipendenza energetica, i negoziati per il controllo degli armamenti, gli interventi di peace-keeping, il moltiplicarsi delle minacce politico-militari, il terrorismo fondamentalista, sono tutti fattori che hanno allargato larea di sovrapposizione fra politica estera e politica di difesa, e la loro costante interazione potrebbe diventare un modo migliore per elaborare dei rapporti esterni più incisivi da parte dellItalia, sfruttando la dualità diplomazia-forza. Per questo una personalità politica come Emma Bonino, per le funzioni ricoperte, la sua conoscenza del mondo arabo, il bagaglio di esperienze sul terreno e il suo background politico, ne fanno una scelta ideale.
Sergio Stanzani
Segretario e presidente
di «Non cè pace senza giustizia»
Le rispettabili argomentazioni di Stanzani e DellAlba rafforzano il mio convincimento: Emma Bonino può far bene alla Cooperazione, ma non può guidare il Ministero della Difesa.
Mario Sechi
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