Un’«ecologia sociale» che soddisferebbe il palato di Carlo Petrini

Fosse mai che il patron di Slow Food Carlo Petrini, scendendo dalle scale di Santi Apostoli dopo l’ennesima riunione su speaker e coordinatori, leggesse il manifesto di Scruton.
Avremmo un’altra tessera stracciata del Partito democratico, perché Scruton - affezionato alla Common Law e allergico a qualsiasi europeismo burocratico, figuriamoci al costruttivismo prodiano - non può entrare nel comitato dei cento saggi immaginato da Carlin, e Carlin non può negare che il Manifesto dei conservatori consegni al «pensiero della lentezza» una filosofia politica che fa sintesi mirabile tra ambientalismo e umanesimo ma, nel suo definire il conservatorismo il «mantenimento di una ecologia sociale» che differisce il più lontano possibile nel tempo i guasti della modernità, è allergico alle scorie di industrialismo o ecologismo positivista contenute nel programma del centrosinistra italiano.
E qui ci siamo, come sull’apologia dello Stato-nazione e della «lealtà nazionale» contro l’ideologia «eurocratese». Non ci siamo, invece, su un altro piano. Gli estimatori di Scruton nella pubblicistica di destra italiana, esaltati da questo scritto, dribblano sui problemi di assimilazione dello scrutonismo nella nostra cultura politica.

Come si fa a dirsi conservatori in un Paese che non possiede i giacimenti di diritto comune e di senso civico che Scruton ritrova nella sua Gran Bretagna?
E il centrodestra italiano, formatosi attorno alla leadership berlusconiana, possiede i caratteri «sovversivi» dell’ottimismo, della spensieratezza consumistica e il piglio faustiano delle grandi opere: come potrebbe accogliere una forma di pensiero che si augura di chiuderla col «turismo frenetico»? Scruton, sospettiamo, starebbe con i «No Tav».

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