
L'infinita telenovela dei dazi americani, dopo mesi di annunci e retromarce, arriva al dunque. Il presidente americano ha deciso: dal primo agosto per Giappone e Corea del Sud il balzello sarà del venticinque per cento, per l'Europa la decisione sarà presa a ore, se la trattativa in corso non dovesse approdare a quel dieci per cento che ancora ieri veniva ventilato. Tanto? Per l'economia europea non è un bel momento, ma peggio dei dazi c'è soltanto l'incertezza dei dazi. È infatti l'incertezza che spaventa i mercati e paralizza le imprese, è come non sapere se, quando e di quanto il padrone di casa ti aumenterà l'affitto.
A meno che Ursula von der Leyen abbia un asso nella manica per sventare la minaccia cosa che non risulta tanto vale chiuderla qui perché ogni giorno che si passa nel limbo è un giorno perso, non certo guadagnato. Come dire, via il dente via il dolore. Possiamo discutere all'infinito sulla fondatezza politica ed efficacia economica della decisione di Trump financo per l'America stessa, ma questo è e non si scappa, piagnucolare non serve a nulla. Né piangere sul latte versato in anni, direi decenni, in cui l'Europa ha pensato di poter dormire sugli allori e inseguire le ideologie politiche incentrate sulla decrescita felice e sull'ossessione di normare ogni cosa che si stanno dimostrando un boomerang, come era ahimè prevedibile, per le sue imprese.
Per questo il dovere di riprogrammare tutto potrebbe alla lunga risultare una scossa salutare. Sempre che a qualcuno non venga in mente di fare il matto, perché dall'altra parte dell'oceano c'è uno certamente più matto di lui che non ci metterebbe più di un secondo ad alzare la posta. Intendo: minacciare l'America di mettere in atto pesanti ritorsioni non è cosa igienica, con Trump al comando è un po' come pensare di fare a pugni con Mike Tyson non avendone il fisico né la stoffa, non puoi che finire al tappeto al primo round.