Finanza sostenibile

Finanza sostenibile e Paesi emergenti, le mosse del Fmi

L'Fmi vuole potenziare la finanza climatica nei Paesi in via di sviluppo. Conscio che la battaglia per la riduzione delle emissioni si gioca nei mercati emergenti

Il Fmi scende in campo per la finanza climatica nei Paesi emergenti

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) mette nel mirino tra le sue priorità lo sviluppo di strategie finanziarie al servizio della lotta al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Conscia che i Paesi dell'ex Terzo Mondo sono in larga parte quelli che maggiormente potranno soffrire della crisi climatica globale, dell'innalzamento del livello degli oceani e dei fenomeni climatici estremi, l'istituzione basata a Washington vuole agire per potenziare i mercati per i fondi Esg, la finanza sostenibile e lo sviluppo integrale nelle economie che rappresentano, al contempo, le fonti maggiori di incremento demografico e aumento di emissioni al mondo.

Il mercato della finanza sostenibile con benchmark climatici, stima l'Fmi, vale 630 miliardi di euro. Una cifra importante - poco meno di un terzo del Pil italiano - ma ancora non all'altezza dei trilioni di dollari l'anno che serviranno per mitigare negli anni a venire le emissioni, ridurre del 25-30% l'impatto di anidride carbonica delle economie in via di sviluppo entro il 2030 e raggiungere la neutralità carbonica tra il 2050 e il 2070.

Del resto, in uno scenario business-as-usual senza ulteriori shock economici e geopolitici globali si prevede che i Paesi in via di sviluppo rappresenteranno il 66% delle emissioni di anidride carbonica su scala globale entro il 2030, rispetto al 44% del 1990. L'Fmi ritiene che strutture finanziarie innovative possono mettere al servizio dello sviluppo sostenibile dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia Meridionale le migliori competenze tecniche dei mercati avanzati e strutturare programmi per sostenere la creazione di nuovi mercati, settori industriali e opportunità di crescita. Questo in un contesto favorevole per la finanza climatica che veda i Paesi avanzati mantenere l'impegno di fornire 100 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti allo sviluppo sostenibile. Favorendo al contempo con istituzioni, Ong e strutture finanziarie la creazione di programmi di formazione per i partner nell'ex Terzo Mondo.

Bo Li, vicedirettore del Fmi, ha di recente presentato al forum della Banca Europea degli Investimenti la strategia del Fmi sulla finanza climatica nei Paesi in via di sviluppo nella giornata del 27 febbraio. Bo, in Lussemburgo, ha dichiarato che ad oggi le politiche climatiche dei Paesi in via di sviluppo faranno si che su scala globale la prevista decrescita delle emissioni climalteranti si fermerebbe, mantenendo lo status quo, all'11% nel 2030 sui livelli del 1990. Troppo poco: l'Fmi vuole proporre un cambio di mentalità.

"Cosa possiamo fare per aumentare i finanziamenti?", si è chiesto Bo, ex vicegovernatore della Banca centrale cinese. "In primo luogo, concentrarsi sulle politiche che possono reindirizzare i flussi di investimento da progetti ad alta intensità di emissioni verso opportunità rispettose del clima. Penso a una regolamentazione più intelligente, a sussidi ben mirati che incentivano gli investimenti a basse emissioni di carbonio prestando attenzione alle caratteristiche fiscali e macrofinanziarie uniche di ogni Paese in via di sviluppo". Una visione strutturale a cui aggiungere la seconda pista, quella della creazione di capacità di gestione degli investimenti in finanza climatica: "Dobbiamo rafforzare la gestione delle finanze pubbliche e degli investimenti pubblici relativi ai progetti climatici per i responsabili politici. I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno della capacità di identificare, valutare e selezionare progetti di buona qualità, nonché di gestire i rischi fiscali rilevanti" ad essi correlati", ha aggiunto Bo.

Opportunità di sviluppo di questo tipo possono poi declinarsi con le prospettive aperte dal microcredito nei mercati locali e responsabilizzare verso lo sviluppo sostenibile economie ancora in una fase caotica di crescita. Non a caso la proposta arriva dal vicedirettore cinese dell'Fmi: Pechino vuole costruire una strategia di sviluppo a tutto campo per i mercati dei Paesi emergenti e apparire come leader in prospettiva. Dunque l'uso delle strutture globali come l'Fmi, tradizionalmente a guida Usa, è di interesse sul piano strategico. E sarà interessante capire come le future mosse Fmi si ibrideranno con le prospettive aperte dal G20 a guida indiana, che ha fatto della finanza sostenibile in direzione dei Paesi in via di sviluppo una priorità in vista del summit 2023.

Nei mercati emergenti si gioca una fetta grossa di lotta ai cambiamenti climatici: e il fatto che questa realtà sia ormai chiara su scala globale rappresenta un importante cambio di paradigma.

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