
I super dazi che Donald Trump aveva imposto sui prodotti made in China esportati da Pechino verso gli Usa non avrebbero spaventato più di tanto il Dragone. Il motivo è presto detto: la Cina si era preparata da tempo in vista dell'apocalisse commerciale. Xi Jinping ha dunque potuto resistere al blitz tariffario di Washington grazie all'incremento dell'autosufficienza economica avviato nei 7 anni trascorsi dal primo mandato del presidente statunitense. Al momento gli Stati Uniti hanno ridotto la loro aliquota tariffaria "reciproca" sui beni cinesi dal 145% al 30%, mentre i piccoli pacchi di valore inferiore a 800 dollari, che erano soggetti a un dazio "de minimis" del 120% del valore stimato o di 100 dollari a pacco, sono ora soggetti a un dazio del 54%. Il mondo intero ha tirato un sospiro di sollievo ma il leader cinese sapeva (e sa) di avere un enorme vantaggio dalla sua parte: un'economia meno dipendente dagli Usa rispetto al passato.
La preparazione della Cina
Quando, lo scorso 2 aprile, Trump aveva annunciato dazi del 34% sulla Cina, Pechino ha replicato. Ogni volta che il presidente statunitense ha aumentato l'aliquota, prima all'84% e poi al 125%, la Cina ha sempre reagito senza chiedere alcun negoziato ufficiale. Come ha spiegato il settimanale Asian Nikkei Review l'ottimismo del Dragone deriva dai preparativi che il gigante asiatico ha fatto negli ultimi sette anni dal primo mandato di Trump per creare un'economia in grado di sopravvivere senza... gli Stati Uniti. Numeri alla mano, il valore delle esportazioni cinesi verso Paesi diversi dagli Stati Uniti è aumentato di oltre 1 trilione di dollari dal 2018 al 2024, circa il doppio rispetto al valore delle esportazioni annuali di Pechino verso gli Usa.
Prendiamo il settore agroalimentare. Dal 2018 la Cina ha, per esempio, ridotto la sua quota di importazioni alimentari da Washington diversificando i fornitori di soia, includendo il Brasile e altri Paesi, e sostenendo lo sviluppo di tecnologie di produzione del grano in Asia centrale e altrove. Il Dragone sta inoltre trasformando la struttura industriale nazionale per rafforzarne l'autosufficienza in ambito scientifico e hi-tech, in vista di eventuali embarghi sulle esportazioni di tecnologie all'avanguardia.
E ancora: la Cina ha dalla propria parte il fattore tempo. Una guerra dei dazi danneggia tanto gli Usa quanto la Repubblica Popolare Cinese. Ma Xi non ha scadenze elettorali da rispettare, mentre le elezioni di medio termine del Congresso americano, previste per l'autunno del 2026, rappresentavano una scadenza per Trump (così come l'importantissima stagione annuale dello shopping natalizio).
I vantaggi di Pechino
La Cina ha sfruttato i suoi vantaggi anche nella gestione e controllo dei materiali critici come le terre rare. La quota del Paese nella produzione globale delle citate terre rare è di circa il 70%. La sua quota nella fusione di questi materiali è ancora più alta: circa il 90%. Senza di esse, l'industria statunitense dell'alta tecnologia e degli armamenti rischierebbe il collasso. In ogni caso, al momento l'imposta del 30% sulla Cina rappresenta l'aliquota fissa del 10% che Washington applica alla maggior parte dei partner commerciali, più 20 punti percentuali in risposta al presunto ruolo di Pechino nel flusso di fentanyl negli Stati Uniti.
Certo è che l'onere per l'industria esportatrice cinese rimane pesante. Personal computer e smartphone, le due principali categorie di esportazione dalla Cina agli Stati Uniti, sono esenti dai dazi reciproci, ma intanto è iniziata una corsa alla delocalizzazione delle fabbriche oltre la Muraglia.
Potrebbero pesare tantissimo, per Xi, i fallimenti di alcune piccole aziende e la disoccupazione che ne dovesse derivare. In mezzo c'è una certezza: i costi della guerra tariffaria continuano a crescere. Per tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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