Per il fisco italiano Apple continua a essere una mela avvelenata. Nel 2013 le due controllate nel nostro Paese del colosso di Cupertino - 37 miliardi di dollari di profitti lo scorso anno a livello mondiale e quasi 38 miliardi di ricavi nella sola Europa - hanno versato poco meno di 8 milioni di euro nelle casse dell'Agenzia delle Entrate. Uno slalom tra le tasse, vinto grazie a una sofisticata struttura societaria che sfrutta le ineguaglianze tra le fiscalità dei diversi Paesi europei: il colosso Usa concentra così i profitti in Irlanda, dove ha concordato un'aliquota inferiore al 2%, attirandosi le ire delle giurisdizioni fiscali di mezzo mondo.
E non è l'unico: anche gli altri colossi della Rete, da Amazon a Google e eBay, sono da tempo nel mirino del fisco. E non solo: è di poche settimane fa il durissimo attacco del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, contro il neocolonialismo dei colossi multimediali, che «generano ricavi e utili in Italia, ma non pagano qui le tasse» e «fanno gli editori con i contenuti degli altri». L'arma per combattere questa forma «moderna, ma non meno odiosa», di evasione in Italia era stata trovata: la «Google tax», che però il governo Renzi ha bloccato. In Francia, invece, il premier Manuel Valls ha deciso di non aspettare che l'Europa trovi un'intesa in materia, imponendo a Google una maxi multa da un miliardo di euro per tasse non pagate.
Il meccanismo è sempre lo stesso: le filiali dei big americani vendono, e incassano introiti pubblicitari, in Italia e nel resto d'Europa, ma pagano le tasse in Paesi dove la legislazione fiscale è ben più «comprensiva»: nel caso di Apple, l'Irlanda.
In pratica, il produttore di iPhone e iPad opera nel nostro Paese attraverso Apple Italia e Apple Retail Italia. La prima presta servizi alle «sorelle» irlandesi che commercializzano i prodotti di Cupertino in Europa e che realizzano profitti miliardari sottoposti ad aliquote fiscali irrisorie grazie a complesse alchimie societarie e sponde offshore. La seconda possiede i 14 Apple Store italiani, i negozi monomarca che il gruppo fondato da Steve Jobs ha aperto in 13 Paesi nel mondo.
Le due società, emerge dai rispettivi bilanci consultati dall'Ansa, hanno pagato al Fisco nel 2013 rispettivamente 4,8 e 3,1 milioni di euro di tasse. Qualcosa in più del 2012 (quando Apple Retail era riuscita nell'impresa di chiudere in rosso e maturare un credito fiscale) ma pur sempre noccioline per una società che, solo con le vendite di una dozzina di Apple Store, nel 2013 ha fatturato nel nostro Paese quasi 300 milioni, il 20% in più dei 249 milioni dell'esercizio precedente. Nonostante l'impennata dei ricavi l'utile dei negozi si è fermato a poco meno di 2,5 milioni, principalmente per i 220,7 milioni di costi pagati in Irlanda ad Apple Distribution International, fornitore dei prodotti Apple che riempiono gli scaffali degli store della Mela morsicata.
Dallo scorso anno su Apple Italia indaga anche la Procura di Milano, che ha iscritto due manager della società nel registro degli indagati per dichiarazione fraudolenta dei redditi. Il sospetto è che tra il 2010 e il 2011 la società non abbia dichiarato oltre un miliardo di imponibile.
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