La linea di Stellantis, dettata dall'ad Carlos Tavares, è quella dell'indipendenza. Mani libere, dunque, soprattutto in questi tempi dove si decide un enigmatico futuro del settore automotive. Senza contare che ci sono costruttori - Daimler, Volvo e Jaguar Land Rover - sui quali l'influenza cinese (Geely), nei primi due casi, e indiana (Tata) nel terzo, è determinante nelle scelte strategiche.
Ecco, allora, l'accordo siglato da Stellantis con il socio cinese (eredità dell'ex Psa) Dongfeng Motor sui 99,2 milioni di azioni ordinarie possedute nel gruppo guidato da Tavares, il 3,16% del capitale sociale. Dongfeng, a questo punto, può presentare, di volta in volta, un'offerta di vendita a Tavares, di tutte o di una parte delle azioni ordinarie del suo portafoglio. Stellantis, a sua volta, avrà il diritto, ma non l'obbligo, di accettare tale proposta, e di acquistare le azioni offerte alla media dei prezzi di chiusura per azione, su Euronext Milano, per il periodo di cinque giorni di negoziazione subito precedenti la data in cui i cinesi si fanno vivi.
In graduale uscita Dongfeng, Stellantis raggiungerebbe però la reale indipendenza solo quando lo Stato francese, attraverso Bpifrance, decidesse di cedere il suo 6,2%. Opzione più volte emersa («Bpifrance non intende restare azionista per sempre di Stellantis», così un lancio Reuters dello scorso anno, con l'affermazione di Martin Vial, presidente di Ape, l'Agenzia per le partecipazioni statali).
Tra l'altro, lo stesso Tavares, mesi fa, si era dichiarato contrario a un possibile ruolo di azionista, sul modello francese, anche dello Stato italiano. «Non ne vedo la necessità. Possiamo tutelare l'Italia senza lo Stato azionista», aveva tagliato corto.
Ma anche la prossima uscita di Stellantis da Acea, l'Associazione europea dei costruttori di veicoli, va nella direzione di una sempre maggiore autonomia del gruppo. Da qui la creazione, a partire dal 2023, annunciata dall'ad, di «Freedom of Mobility Forum» allo scopo di affrontare concretamente le questioni chiave che circondano il dibattito sulla mobilità decarbonizzata e individuare i prossimi passi da compiere.
Cinesi in Stellantis verso l'addio, dunque: meglio siglare con questi costruttori partnership, piuttosto che averli nell'azionariato, viste le polemiche che accompagnano l'approssimarsi di un predominio del Paese asiatico favorito da un'eccessiva e mal gestita accelerazione europea verso il «tutto elettrico». Stellantis, in proposito, è impegnata da mesi a mettere al sicuro gli approvvigionamenti delle materie prime per le batterie, insieme alla loro produzione, attraverso joint venture e la realizzazione di «gigafactory» tra cui quella di Termoli, in Italia.
Dongfeng Motor, con sede nella tristemente nota Wuhan, è considerato uno dei «big» cinesi dell'auto, con Chang'an, Faw (lo stesso gruppo che in Italia ha in sospeso la nascita, insieme all'americana Silk, di un polo di supercar elettriche nel Reggiano) e Saic. Nel 1992 l'avvio della joint venture con Psa e nel 2011 tocca a Renault. A inizio 2014, il gruppo di Wuhan quotato a Hong Kong partecipa alla ricapitalizzazione di Psa, allora con i conti in perdita, acquisendone il 14%.
A entrare nel capitale è anche l'Eliseo.Nel 2021 l'«assorbimento» in Stellantis e la progressiva diluizione fino alla prossima uscita, come da patti. Al via di Stellantis, il colosso cinese deteneva il 6,1% fino ad arrivare al 3,16% attuale.
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