Confindustria: "Flat tax troppo cara"

Costo stimato in 80 miliardi. Gli imprenditori puntano al taglio del cuneo

Confindustria: "Flat tax troppo cara"

«È molto complesso avere una flat tax che non faccia perdere ai redditi più bassi». È quanto ha dichiarato il capo economista di Confindustria, Andrea Montanino, intervistato dall'Agi. «L'ipotesi di abbattimento dell'aliquota al 15% per i redditi fino a 55mila euro costa circa 80 miliardi di euro», ha aggiunto sottolineando che «per ridurre questa cifra bisogna eliminare molte detrazioni e deduzioni: quelle per carico familiare, lavoro dipendente, spese sanitarie, mutuo prima casa, bonus 80 euro». Solo eliminando queste spese fiscali, precisa, «si può arrivare a un costo più basso ma da alcune simulazioni che abbiamo fatto è che le persone con i redditi più bassi, circa 15 milioni di italiani, non pochi dunque, potrebbero perderci senza le attuali detrazioni e il bonus 80 euro: quindi, o la riforma costa molto di più delle cifre che circolano, o si penalizzano i redditi bassi». Naturalmente, ha spiegato Montanino, servono i dettagli prima di dare un giudizio definitivo.

La flat tax è comunque un punto controverso per Confindustria. Logica vorrebbe che gli industriali non siano ostili a un taglio delle tasse. In realtà, come aveva già detto il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, le priorità sono il rilancio delle infrastrutture e la riduzione del cuneo fiscale. La convergenza con le proposte dei sindacati è notevole. Del resto anche i giovani di Confindustria, presieduti da Alessio Rossi, sono di questo parere: «Non vogliamo pagare meno degli altri ma essere trattati con equità. E se la flat tax è insostenibile per le casse dello stato diciamo: no grazie. Ci serve una tassazione giusta, non piatta ma sostenibile». Anche sulle clausole di salvaguardia la posizione è chiara. «Se l'Iva aumenta - ha aggiunto Montanino - ha un effetto negativo diretto sulla crescita, se non aumenta ce l'ha sul deficit pubblico che andrebbe ampiamente oltre il 3% in rapporto al Pil, attivando una reazione dei mercati, con l'aumento dello spread e effetti negativi sulla crescita». Le stime del Csc, aggiunge, «sono che l'aumento dell'Iva nel 2020 avrebbe un effetto di riduzione del tasso di crescita dell'economia dello 0,3%. Il non alzare l'Iva però avrebbe degli effetti negativi che stimiamo in quasi un punto nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo».

Il tema dell'Iva è sul tavolo del governo italiano, qualunque esso sia, dal 2011.

«Le clausole di salvaguardia - ha detto - erano state pensate con l'idea di dare il tempo ai governi per trovare misure correttive, in realtà questo non è mai avvenuto tanto che venivano spesso coperte in deficit, usando un po' di flessibilità data da Bruxelles. Il problema è che negli anni i numeri diventano sempre più grandi e sterilizzare l'aumento dell'Iva sempre più difficile».

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