La crisi dei "chip" si allunga al 2023

Choc della domanda peggiore del previsto. A rischio l'1% delle vendite di Stellantis

La crisi dei "chip" si allunga al 2023

I chip sono diventati una merce così rara che è nato addirittura un fiorente mercato del falso. Una crisi, quella legata ai semiconduttori, componenti elettronici per lo più utilizzati nel settore auto e della telefonia, che è iniziata con la pandemia e con la chiusura delle fabbriche che li producono generando una distorsione nel rapporto di domanda e offerta. La prima cresceva a dismisura anche grazie al boom tecnologico legato al lockdown e la seconda diminuiva per gli stop continui alla produzione. Un trend che non sembra arrestarsi (anzi, le previsioni sono più che fosche) e che nelle ultime ore ha costretto nuovamente le case automobilistiche a rivedere i piani produttivi. Da ultima Stellantis che dopo gli stop alla produzione di Pomigliano, e del polo Sevel di Atessa ha fatto slittare la riapertura di Melfi - il più grande degli stabilimenti del gruppo in Europa - al 13 settembre, dal 6 previsto. Si potrà garantire la produzione soltanto per cinque giorni, poi stop per carenza di componenti elettroniche. Per ottobre, poi, si vedrà.

Secondo gli analisti di Equita Sim l'arresto produttivo in corso potrebbe tradursi in circa 20.000 unità in meno nel terzo trimestre, ovvero l'1% delle vendite di tutto il gruppo. Ci sono, comunque, anche scenari più pessimisti, comprendenti 45mila veicoli persi.

Ma quali sono le prospettive di questa crisi e perché oggi sembra essersi acuita? Per Intesa Sanpaolo la carenza di chip si estenderà anche al 2022. E secondo l'ultimo report trimestrale sulle materie prime di Siemens/Supplyframe addirittura fino al 2023. «Questo perché, spiega Alessandro Tentori, cio di Axa Im Italia si sta concretizzando un vero e proprio shock di settore». La fortissima ripresa economica a seguito della breve ma intensa recessione di marzo/aprile 2020 ha prodotto uno shock positivo da domanda, a cui non segue, anzi non può seguire l'offerta di semiconduttori. Un motivo è dovuto alla forza della domanda. Basti pensare che secondo uno studio di Deloitte, il mercato dei semiconduttori dovrebbe raggiungere un valore di 550 miliardi di dollari nel 2022. Le telecomunicazioni e il data processing generano insieme il 65% del valore di questo mercato. Ma voci molto importanti sono i beni di largo consumo (9%), l'auto (12%) e la produzione industriale (13%). «Il secondo punto critico, è la concentrazione regionale della produzione di semiconduttori, che vede l'Asia dominare il resto del mondo con un output del 70%. Il resto se lo spartiscono Europa, Giappone e Stati Uniti», commenta Tentori spiegando che «a questi due punti critici si somma un problema di tempi di produzione: fino a 60 settimane».

In tutto, si profila all'orizzonte una certa speculazione sui prezzi anche perché il 70% della produzione arriva dalla taiwanese Tsmc che si prepara ad alzare del 20% i prezzi (secondo il Wsj).

Uno scossone dal quale si salverà StM, società italo-francese di semiconduttori, che ha un modello integrato con la produzione interna che supera il 70% dei volumi. Per Equita la società, che l'altro ieri ha toccato i massimi dal 2002 a 37,7 euro, «dovrebbero beneficiare dell'aumento dei prezzi con riflessi concreti sui margini».

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