Il governo aveva annunciato una ''potenza di fuoco da 400 miliardi'' per rimpinguare le casse vuote delle imprese di ogni dimensione. A sentire le parole uscite dalla bocca di Giuseppe Conte, tutto sembrava semplice e lineare.
Il decreto liquidità dello scorso 8 aprile avrebbe dovuto allestire un meccanismo a ''tre corsie'', capace di garantire prestiti fino a 25mila euro, fino a 5 milioni e oltre 5 milioni; i primi due coperti dal Fondo di garanzia, l'ultimo da Sace. Il problema – sottolinea il quotidiano Il Messaggero – è che il meccanismo fatica a decollare.
C'è qualcosa che non funziona nella strategia pensata dall'esecutivo che, come vedremo, assomiglia molto di più a una giungla di adempimenti che non a una comoda autostrada a triplo scorrimento. Innanzitutto, a ieri, le richieste pervenute al Fondo di garanzia per la tranche più piccola tra quelle disponibili erano 53.100, cioè più delle 45.703 domande denunciate dalla Cgia. Tradotto: i numeri reali non sono quelli che si aspettavano le istituzioni.
Proseguendo nella disamina e analizzando i numeri citati, notiamo come su una platea formata da 5,2 milioni di imprese e partite iva potenzialmente interessate, appena l'1,1% ha fin qui chiesto l'accesso al sostegno. Nel frattempo le banche stanno lavorando almeno altre 250mila domande.
Ma al di là dei numeri c'è da considerare una questione tecnica. Molti imprenditori hanno inviato la domanda ma se la sono vista respingere perché non corretta; ad alcuni di loro è stato detto di modificarla e integrarla.
Il timore delle banche e la giungla di adempimenti
Arriviamo poi a un altro problema. Le banche hanno timore delle attuali regole del codice penale sulla bancarotta, e questo non fa altro che rallentare il processo. Il motivo è semplice: il prestito consentito dal dl liquidità a un'impresa con un'esposizione deteriorata, in certi casi (se questa dovesse portare i libri in tribunale) potrebbe coinvolgere lo stesso istituto creditizio in ''concorso'' nel default.
Per sveltire ulteriormente la pratica, che richiede agli imprenditori documenti e adempimenti vari, l'Associazione bancaria italiana (Abi) spinge per la sola autocertificazione. Un documento, insomma, attraverso il quale l'impresa beneficiaria degli aiuti possa assumersi una serie di responsabilità civili e penali, tra cui l'assenza di difficoltà finanziarie precedenti all'emergenza Covid-19, la finalità del finanziamento e la non distribuzione dei dividendi nel 2020.
Le banche sono state chiare: è l'autocertificazione la strada migliore per ottenere la liquidità. Con la citata autocertificazione – ha spiegato l'Abi - ''una volta che la banca ha inserito correttamente la domanda di garanzia sul portale del Fondo, non deve attendere la delibera di ammissione alla garanzia del Fondo per effettuare l' erogazione''.
Nel frattempo la Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani, ha ulteriormente sottolineato la lentezza delle pratiche. Già, perché servono da 4 a 21 documenti per ottenere il via libera ai prestiti garantiti dallo Stato.
E gli imprenditori, in mezzo a tutte queste pratiche, finiscono così in un meccanismo infernale. L'errore più grande del governo? Aver annunciato prestiti a pioggia senza fare prima i conti con tempistiche e modalità operative di banche, Sace e fondo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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