Pensioni, uscite flessibili grazie al Tfr

Il governo pensa di "istituzionalizzare" l'uso della previdenza integrativa per ritirarsi

Pensioni, uscite flessibili grazie al Tfr
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Il conto alla rovescia per Quota 103 è iniziato. Dopo due anni di proroghe, il canale che consente l'uscita a 62 anni con 41 di contributi, legato al sistema contributivo, potrebbe non essere più rinnovato nel 2026. È una delle ipotesi allo studio del governo Meloni, impegnato a disegnare una nuova rotta previdenziale per il prossimo anno. L'obiettivo: coniugare sostenibilità dei conti e flessibilità in uscita, senza più affidarsi al meccanismo delle Quote.

«Non credo sia una giusta cosa continuare con Quota 103», ha dichiarato il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (in foto). «Dobbiamo potenziare altre flessibilità in uscita», ha aggiunto, indicando come modello la pensione anticipata a 64 anni con 20 anni di contributi, resa accessibile con l'ultima manovra ai lavoratori totalmente contributivi post-1996, grazie anche al ponte costruito con la previdenza integrativa.

Proprio su questo fronte si concentrano le riflessioni dell'esecutivo. «Abbiamo inserito una rilevante innovazione: il collegamento tra primo e secondo pilastro ha fatto fare un salto epocale al sistema», ha ribadito più volte Durigon sottolineando che «ora bisogna estendere questa possibilità a tutti, non solo a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996». Tra le varie ipotesi allo studio anche quella di utilizzare il Tfr, finora accantonato in Tesoreria Inps, per sostenere forme di uscita anticipata e rafforzare gli assegni futuri. «Quel tesoretto, il Tfr, un tempo serviva per comprare la casa ai figli, oggi può servire al sostentamento del pensionato futuro», ha rimarcato di recente il sottosegretario leghista.

Non si tratterebbe di dirottare le risorse verso i fondi pensione «Non dico di fare una sorta di banca Inps», aveva precisato ma di utilizzarle per produrre rendite individuali capaci di colmare i requisiti più severi introdotti con le ultime riforme, come il tetto minimo di 3,2 volte l'assegno sociale (oltre 1.700 euro mensili) previsto per il pensionamento anticipato dei contributivi puri.

I numeri confermano il cambio di fase. Secondo l'Inps, nei primi tre mesi del 2025 le pensioni anticipate sono scese del 23,1%, a quota 54.094. Tra i dipendenti pubblici, dove l'impatto delle misure è stato più marcato, si è registrato un crollo del 33,9%: appena 8.014 nuovi trattamenti su 16.791 totali. Eppure, quasi un assegno su due nella Pa resta un anticipo. Nella gestione privata, invece, si registra un innalzamento, seppur minimo, dell'età media a 61,3 anni.

L'effetto combinato del rallentamento delle uscite e del contenimento delle deroghe contribuisce a tenere sotto controllo la spesa: secondo la Ragioneria dello Stato, senza interventi il costo delle pensioni potrebbe arrivare al 17% del Pil entro il 2040.

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