Con Dongfeng prossima a cedere il restante 3,16% in Stellantis e lo stop alla lunga alleanza industriale con Gac (fu siglata da Fiat nel luglio del 2009), per Stellantis il dossier Cina torna alla ribalta. E se per Dongfeng l'uscita dal gruppo entro l'anno era prevista (l'accordo è che i cinesi, di volta in volta, facciano un'offerta di vendita a Stellantis di tutte o di una parte delle azioni ordinarie), nell'altro caso i rapporti con Guangzhou Automobile Group, per la produzione e la distribuzione del marchio Jeep sotto la Grande Muraglia, si erano incrinati mesi fa: i cinesi non avevano infatti gradito l'annuncio di Stellantis di voler aumentare la propria quota nella joint venture dal 50% al 75%. E così l'ad Carlos Tavares ha deciso di troncare i rapporti per non perdere ulteriore tempo e soldi (negli ultimi tempi l'alleanza aveva registrato perdite) in un mercato da sempre non facile per le ex Fiat-Fca e Psa.
Il nuovo piano di Tavares è di importare direttamente in Cina i modelli del marchio americano, potendo contare su una forte rete commerciale, e sull'avanzata elettrificazione della gamma. Per l'operazione, Stellantis riconoscerà un «onere di svalutazione non monetario» di circa 297 milioni nei dati del primo semestre 2022. In Borsa il titolo ha comunque preso quota (+2,5% a 12,25 euro): al mercato piace la nuova prova concreta della volontà di andare avanti con le mani libere, contando sulla forte internazionalizzazione del gruppo. «Il marchio Jeep - spiega Stellantis - continuerà a rafforzare la propria offerta in Cina con una più ampia gamma di veicoli d'importazione elettrificati, destinati a superare le aspettative dei clienti cinesi». Oltre all'attuale offerta di motorizzazioni ibride con la spina, il marchio potrà contare anche sul Wrangler elettrico e, dal 2023, sul Suv compatto, sempre a batteria, lo stesso mostrato in anteprima alla presentazione del piano strategico «Dare Forward».
Tavares ha messo in conto per la Cina, grazie al nuovo modello di business «asset light» (maggiori entrate grazie all'importazione invece della produzione in loco), di raggiungere, entro il 2030, un giro d'affari di 20 miliardi, il 7% dei ricavi previsti. Un grande balzo rispetto ai 3,9 miliardi di ricavi nella stessa Cina lo scorso 2021 (quota di mercato sotto l'1% nonostante la capacità produttiva di 328mila vetture l'anno), in India e Asia Pacifico. Da parte sua, nel 2021 Guangzhou Automobile Group aveva segnato un calo delle vendite del 50%, chiudendo una fabbrica in marzo.
Tra i gruppi automobilistici occidentali, intanto, c'è chi lavora per assumere il controllo della maggioranza nelle rispettive joint venture, cosa non riuscita a Stellants. Bmw, a esempio, pagherà 3,7 miliardi per avere la quota maggiore della sua joint venture cinese dopo aver ottenuto la licenza necessaria da Pechino.
Volvo, invece, ha già fatto sapere di aver firmato un accordo con la sua Casa madre, Geely Holding, per rilevare le quota di quest'ultima nelle joint venture create insieme in Cina. In questo modo, Volvo avrà la piena proprietà dei suoi impianti di produzione di auto e delle attività di vendita nel primo mercato mondiale.
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