
Allora, diciamolo subito: Google ha appena tirato fuori la funzione che tutti sognavamo e che fino a ieri sembrava ancora roba da film di fantascienza di serie B. Si chiama traduzione vocale in tempo quasi reale su Meet (il “quasi” è veramente meno di un secondo): la voce dell’interlocutore viene tradotta nella tua lingua mentre parla, con tanto di tono, emozione e ritmo della persona vera, non la solita voce robotica, proprio quella voce lì, e nella tua lingua.
In rete trovate anteprime entusiaste da chi lo ha provato (tra poco ce lo avremo tutti) e le prove degli utenti sono incredibili: la latenza è minima e la conversazione resta fluida, io non vedo l’ora di usarlo (per parlare con chi? Boh ci penserò poi). Insomma, stiamo entrando nell’era in cui parlare con chiunque in qualunque lingua, in diretta, diventa normale.
E Apple? Eh. Qui il discorso si fa interessante, e mi devo rimangiare quanto ho scritto ieri, fiducioso e Apple addicted come sono, su IOS 26.
Mi spiego: in Europa molte delle nuove funzioni che Apple sta lanciando in America (come il mirroring dell’iPhone sul Mac, alcune parti di Apple Intelligence, e altro ancora) da noi non arriveranno (per ora) e non è perché l’Europa le vieta. È perché Apple preferisce non lanciarle alle condizioni richieste qui a causa del Digital Markets Act (DMA): è la nuova legge europea che impone ai giganti digitali di aprire un po’ i loro giardini recintati. Non puoi più fare funzioni chiave che funzionano solo dentro il tuo ecosistema, senza concorrenza e senza interoperabilità.
Apple, per esempio, dovrebbe rendere alcune funzioni di mirroring o di AI compatibili anche con standard aperti o almeno accessibili a terze parti. Negli Stati Uniti tuttavia non ha di questi problemi: lì il DMA non c’è, e quindi Cupertino può rilasciare tutto come vuole, dentro il suo recinto perfettamente chiuso. Da noi invece dovrebbe modificare le funzioni per rispettare la legge europea. E allora cosa fa? Molto semplicemente: non le rilascia proprio.
Ufficialmente dice che lo fa per proteggere la privacy e la sicurezza degli utenti, cioè non vuole perdere il controllo sul sistema, cosa che io capisco e ho difeso per principio. Solo che la concorrenza sta diventando spietata.
Il punto è che mentre Google, che pure deve rispettare il DMA, si adegua e intanto ti fa parlare con il mondo in tempo reale, Apple rischia di passare da azienda che “cura l’esperienza utente” a azienda che “cura la sua esperienza di controllo” e è un vero rischio. Apple è sempre stata maestra nel vendere i suoi ritardi come scelte di qualità (“noi non rincorriamo le mode”), solo che negli ultimi due anni tutto sta cambiando alla velocità della luce, e quando ti ritrovi a dire “prima la sicurezza” mentre gli altri già offrono traduzioni vocali da film di spionaggio la percezione che dai è quella di essere rimasto indietro, non di essere più saggio.
Perché tra un po’ anche l’ultimo degli utenti si accorgerà che essere “sicuri” ma muti, in un mondo dove tutti parlano con tutti, non basta più. Apple, per ora, ti fa parlare… con te stesso, perfetto per la meditazione, meno per una videoconferenza.
E la sicurezza? C’è eccome non facciamo troppe storie (a volte la sicurezza di Apple è talmente esagerata che per non far entrare nessuno nel tuo dispositivo non fa
entrare neppure te, anche questo l’ho raccontato qui). Il problema è che in Europa, tra chi deve aprire e chi non vuole aprire, alla fine resta chiuso pure il microfono, cosa volete che ce ne freghi delle nuove icone effetto liquid glass.