Meglio russi che gelati. Dietro il bidone rifilato da Kiev all'Unione Europea pronta a siglare un patto commerciale con lei c'è un pensiero semplice ed utilitarista. Lo stesso che muove le manganellate dispensate a man bassa agli oppositori riunitisi ieri nella piazza Indipendenza di Kiev per contestare la decisione del presidente Viktor Yanukovich di abbandonare l'intesa con Bruxelles e tornare ad abbracciare la detestata madre russa.
Ma dietro quel calcolo opportunista non c'è solo il ricordo dei «grandi freddi» del 2006 e nel 2009 quando Mosca non esitò a tagliarle il gas in pieno inverno. Stavolta c'è qualcosa di più. E per questo il divorzio da Mosca e il matrimonio con Bruxelles, pronti ad esser celebrati nel fallimentare vertice europeo chiusosi venerdì a Vilnius, rischiava di rivelarsi una scelta fatale.
Stavolta di mezzo non c'erano solo i debiti per 650 milioni di Euro con la Gazprom. Stavolta a rendere il voltafaccia dell'Ucraina a Mosca assai azzardato c'è una partita geopolitica chiamata Eurasia. Dietro quel termine immaginifico si cela il sogno di Vladimir Putin di ridar vita ad un'unione politica, economica e militare estesa dagli Urali alla frontiera cinese. Un'unione in cui molti intravvedono il ricordo o la nostalgia di quella Sovietica.
Intralciare quel sogno e ignorare le minacce di Mosca rischiava di rendere perenne il gelo di una nazione dipendente per il 60 per cento dal gas russo. Dunque visto che l'Europa il gas non ce l'ha, anzi lo compra pure lei da Putin, l'Ucraina ha preferito abbandonare la tresca con Bruxelles e tornare al detestato, ma insostituibile «marito» russo.
Le manganellate distribuite ieri agli oppositori riuniti in piazza Indipendenza e la trentina di arresti messi a segno dalle forze anti sommossa del governo di Yanukovich sono sostanzialmente la conseguenza di questa scelta. La tensione alle stelle e l'annuncio dell'opposizione di convocare uno sciopero generale per spingere alle dimissioni Yanukovich e riconsiderare l'addio all'Europa non sembrano destinati a cambiare l'essenza della partita. E anche la chiamata alle armi dell'ex premier Yulia Tymoshenko incarcerata per ordine di Yanukovich non sembra una garanzia di successo. «Milioni di ucraini devono ribellarsi», auspica in una lettera affidata alla sorella la bionda Yulia che invita i dimostranti a «non abbandonare le piazze sino a quando le autorità non verranno sconfitte con i mezzi pacifici».
Ma il ricordo della rivoluzione arancione del 2004 e 2005 evocato nella lettera è un sogno ormai sfocato. L'indebitata Ucraina scossa da una crisi economica senza precedenti e indebolita dallo scontro politico tra il governo di Yanukovich e un'opposizione assai divisa non ha alcuna possibilità concreta di opporsi al volere dello Zar Putin. Nella visione del presidente russo l'Eurasia è pronta a diventare il naturale antagonista di Stati Uniti, Europa e Cina a livello globale. Per dar vita a quel sogno Putin ha già cooptato il Kazakistan, la Bielorussia, l'Armenia e il Kirghizistan gettando le basi per un megamercato da 165 milioni di utenti esteso su tre quarti dell'ex Unione Sovietica con un prodotto interno lordo da circa un miliardo e 690 milioni di euro.
In nome di quel sogno Putin ha già promesso a Yanukovich di aiutarlo a rinegoziare un debito da 8 miliardi di dollari e contribuendo alla sua rielezione alle presidenziali del prossimo anno.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.