L'Eni scivola a Piazza Affari: "Ma per ora non ce ne andiamo"

Ripercussioni sul colosso dell'Energia che opera a Tripoli

La Libia è tutt'altro che un mercato marginale per Eni. Forte di legami con Tripoli che risalgono al 1959, il gruppo del Cane a sei zampe ricava dal Paese nord-africano il 15% della propria produzione complessiva. Il crescendo delle tensioni sta quindi avendo un impatto diretto sull'attività del colosso energetico italiano, visto che la settimana scorsa la Libia ha prodotto solo 200mila barili di petrolio equivalente al giorno, 100mila in meno rispetto alla settimana procedente e ben lontano dagli 1,4 milioni di barili dell'anno scorso. L'allarme rosso non è però ancora scattato: «Eni non ha adottato provvedimenti di evacuazione del proprio personale dal Paese e le attività produttive proseguono in linea con il trend del primo trimestre», spiega un portavoce. Dove invece, a una prima analisi, Eni ha subito una forte penalizzazione è nell'andamento di ieri in Borsa. A fine seduta, il titolo ha perso il 2,85%.

Sul forte calo ha tuttavia inciso in modo determinante il cosiddetto «effetto cedola». Il gruppo ha infatti pagato proprio ieri un acconto pari a 0,55 euro sul dividendo complessivo da 1 euro. Senza il versamento dalla cedola, la quotazione avrebbe subìto un calo limitato a mezzo punto percentuale.

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