Il «Times» rivela un accordo per la fornitura di uranio dello Zimbabwe

Il «Times» rivela un accordo per la fornitura di uranio dello Zimbabwe

di Fiamma Nirenstein

Gerusalemme È difficile districare i molti incubi che il Medio Oriente fornisce di questi tempi. Siria, Egitto, Tunisia, l'espansione militare di Al Qaeda. Ma su tutto si innalza pericolo iraniano che torna sul proscenio proprio mentre Hassan Rouhani, il nuovo presidente specializzato in sorrisi benevoli, fa la sua comparsa sulla scena internazionale. Al di là della «mano tesa» (come si è scritto) del discorso di inaugurazione e di condanna a morte di Israele nella medesima circostanza, le centrifughe hanno preso una furiosa aire. Sono diventati compagni di strada Rouhani e il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, 88enne dittatore sanguinario da 33 anni, se è vera la notizia fornita al Times dal viceministro africano alle miniere Gift Chimanikire per cui il suo Paese ha firmato un accordo per la fornitura di uranio agli Ayatollah. A Mugabe il piano atomico iraniano è sempre piaciuto, nel 2009 lo lodò apertamente, dal 2005 i due Paesi hanno accordi di cooperazione multipla, sostenuti da generosi contributi umanitari dell'Iran e ribaditi negli incontri strategico-militari fra Mugabe e Ahmadinejad.
L'uranio dello Zimbabwe violerebbe le sanzioni internazionali stabilite da Usa e Europa, e Mugabe è stato più volte avvertito di astenersene. Ma a uno la cui inflazione raggiunge il 100mila per cento, importa poco del biasimo internazionale. È l'Iran che in questo periodo è sotto osservazione, e il nuovo flusso di uranio, peraltro non in tempi brevi perché è da estrarre e spedire, è solo uno di questi.
In generale, il mondo è diviso fra la speranza che Rouhani voglia trattare per una sospensione del programma nucleare, e un nuovo senso di urgenza. Dall'elezione di Rouhani sono state installate 7mila nuove centrifughe, gli impianti raffinano uranio a velocita inusitata. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante un incontro con i rappresentanti americani ha chiesto di intensificare la pressione: «Rouhani parla, parla e parla, e mentre tutti sono impegnati in chiacchiere, lui è impegnato a preparare la bomba atomica». L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica sostiene che a metà del 2014 l'Iran avrà completato la preparazione. Il Parlamento americano ha votato, 400 a 20, nuove sanzioni che azzerano qualsiasi esportazione iraniana di petrolio. La risoluzione passerà al voto del Senato all'inizio di settembre, poi sul tavolo di Obama in ottobre: dunque Rouhani ha fra i due e i tre mesi per decidere di cambiare politica. Se non ci dovessero essere segnali positivi, il mondo si troverà sull'orlo della minaccia più seria dai tempi dei nazismo. Obama ha detto tante volte che non permetterà mai la nuclearizzazione e interverrà ad ogni costo. Ma la scadenza temporale non è mai stata definita, e questo riflette la sua profonda indecisione.
Israele si arrovella sul da farsi. L'ex capo dell'Intelligence Militare Amod Yadlin avverte che l'arricchimento dell'uranio è solo una delle tre dimensioni dell'Iran atomico, che ce n'è un secondo basato sull'uranio a basso arricchimento e un terzo sulla produzione di plutonio. Il reattore ad acqua pesante di Arak può produrre abbastanza plutonio per costruire bombe atomiche.

Un anonimo alto ufficiale ha detto alla radio martedì che, anche se senza gli Usa l'attacco sarebbe meno efficace, Israele è in grado di compierlo anche da solo. È una risposta alla Casa Bianca che seguita a sperare nelle parole, ma Netanyahu ricorda che Rouhani ha detto che «Israele è una ferita nel corpo del mondo islamico».

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