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Tridico e la campagna pre-pagata

Pasquale Tridico, già presidente dell'Inps, sarà capolista del Movimento 5 Stelle nella circoscrizione Sud alle elezioni europee

Tridico e la campagna pre-pagata
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Pasquale Tridico, già presidente dell'Inps, sarà capolista del Movimento 5 Stelle nella circoscrizione Sud alle elezioni europee. Gli auguriamo pieno successo. Se non fosse che nella sua discesa in campo c'è un forte sentore di conflitto di interessi. Fino a pochi mesi fa, Tridico era alla guida dell'ente che ha distribuito, in quasi totale assenza di controlli preventivi, oltre 32 miliardi di Reddito di cittadinanza. Al netto del giudizio sul provvedimento - che non ha cancellato la povertà, che non ha ridotto la disoccupazione (anzi ha reso più difficile l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro), che è costato uno sproposito alle casse dello Stato - il Reddito ha visto il maggior numero di beneficiati proprio al Sud: Campania, Puglia e Calabria sono le regioni con la maggiore distribuzione del bonus. Il sillogismo sarà imperfetto, ma il dubbio è più che lecito: prima distribuisco a pioggia un bonus senza preventivo controllo su chi lo percepisce; poi mi candido nella stessa area di maggior utilizzo del bonus; infine godo a mia volta della prebenda distribuita, ricavandone un utile espresso in voti. Non sarà una questione di legittimità - ciò che non è espressamente vietato è consentito, secondo la nota massima -, ma di sensibilità e di trasparenza sicuramente sì.

Vale oggi per il professor Tridico, ma vale per qualunque soggetto, a capo di un ente o di una società pubblica, che dovesse mettere a profitto (elettorale) le azioni condotte come grand commis di Stato. Fino a che punto è giusto tollerare una campagna elettorale di fatto pre-pagata con denari pubblici? I francesi hanno coniato l'espressione «pantouflage» (mettersi comodo, mettersi in pantofole) per indicare il fenomeno che vede alti funzionari pubblici, in genere cresciuti alla École Polytechnique o alla École nationale d'administration (Ena), imboccare la strada delle più munifiche imprese private. In Italia il «pantouflage» è normato e in parte vietato: è infatti stabilito che nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, i dipendenti pubblici - a maggior ragione se in posizioni apicali - non possono essere assunti o svolgere incarichi per gli stessi privati oggetto dei loro precedenti provvedimenti. Apparentemente non è il caso di Tridico, ma lo è nella sostanza.

Ora, chi dovrebbe vigilare sul «pantouflage» è l'Anac, l'autorità anticorruzione: è una questione di trasparenza, in una delle tante fattispecie del conflitto di interessi, spesso evocato, ma assai poco normato e quindi spesso imprendibile.

Anac ha spesso sollecitato Parlamento e governo a estendere l'applicabilità del «pantouflage» negli enti di diritto privato a controllo pubblico e guidati da figure dirigenziali che abbiano partecipato all'adozione dei provvedimenti autorizzativi o negoziali, ma fino a oggi nessun risultato concreto è stato raggiunto. Eppure farebbe un gran bene al nostro sistema una battaglia più esplicita contro una disinvoltura che porta beneficio solo agli opportunisti che la praticano.

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