Il Facebook dei milionari: club esclusivo della rete 

Spopolano i social network con accesso riservato. Gli utenti: manager, politici e aristocratici che vogliono tutelare la privacy. Per farne parte bisogna provare l'entità del patrimonio ed essere presentati

Il Facebook dei milionari:  
club esclusivo della rete 

Sono network, ma social fino a un certo punto. Nel senso che la socialità si calibra sul conto in banca: che deve essere ben rifornito, verificato, esibito come prova. Altrimenti niente amicizia, perché il Facebook dei ricchi funziona così: è esclusivo, quindi seleziona; è elitario, quindi odia la massa. È il contrario del Facebook dei comuni mortali che, in teoria, punta ad avere un numero infinito di contatti da aggiungere alla lista degli «amici». Su questi siti l’accesso è riservato a pochi paperoni, oppure a qualche azienda di lusso o banca d’affari a caccia di clienti potenziali. Stop. Tutti gli altri non sono benvenuti, welcome sì, ma solo se il portafoglio ti fa meritare di varcare quella soglia virtuale.

Le comunità elitarie del web sono come i vecchi club inglesi, quelli in cui non era ammessa una donna neanche fosse la regina, e in cui il patrimonio era tutto: lì i soldi neanche bastavano, servivano il lignaggio, l’albero genealogico, la terra. Ma oggi questi luoghi di incontro non esistono più, quelli che ancora resistono sono in crisi, perfino i miliardari non ci si trovano più a loro agio. Perché i club sono costretti ad aprirsi al mondo, che li ha contaminati. Lo storico «Garrick» di Londra ancora si ostina a non ammettere le signore (se non accompagnate da un maschio certificato), ma questo attaccamento alla tradizione ha portato alla rottura del gemellaggio con il «Century» di New York, che una ventina di anni fa ha deciso di femminilizzarsi. Ora le associate sono già un quarto dei membri.
Può sembrare uno screzio da poco, ma è il sintomo di una realtà che trova sempre meno spazio.

Eppure l’esigenza rimane: i miliardari hanno voglia di ritrovarsi, chiacchierare e fare affari in tutta tranquillità. E come milioni di persone possono farlo su internet, ma senza perdere lo status. I siti per soli ricchi garantiscono la privacy: su questi Facebook d’élite i manager si scambiano informazioni, gli avvocati e i finanzieri trovano clienti, imprenditori e gente varia del bel mondo organizzano eventi per beneficenza, per denaro, per mondanità. Pare per esempio che tra i frequentatori ci siano Paris Hilton, Naomi Campbell e Quentin Tarantino. L’International Herald Tribune spiega in prima pagina che queste community (come Pi Capital, Peers, Family Bhive, Affluence.org) catturano gli ultraricchi perché loro sono fra i primi a adorare e utilizzare le tecnologie, innanzitutto perché hanno i soldi per comprarsele, o magari qualcuno gliele regala, e poi perché non amano restare indietro.

E ora c’è chi pensa di fare fortuna anche in questo settore, magari per entrare poi a fare parte della community a pieno titolo. Come del resto potrebbe essere membro onorario il padre di Facebook Mark Zuckerberg, che col suo sito aperto a tutti, spiantati, danarosi e brutti ha guadagnato dollari a palate.
Ma anche i suoi emuli esclusivi se la cavano bene, secondo l’Herald Tribune. David Giampaolo, che dalla Florida è andato a Mayfair per creare Pi Capital, una specie di club per investitori, dice che i guadagni funzionano. L’importante è controllare sempre i patrimoni.

Il sito Family Bhive, che la fondatrice Caroline Garnham ha ribattezzato «Facebook per i fortunati» (si intende come reddito), ha già 700 membri, tutti suddivisi in base alla «fortuna», appunto: alla categoria «jet» appartiene chi possiede più di cento milioni di sterline (il quattro per cento degli iscritti), «giada» è riservata a chi vanta fra i venti e i cento milioni (il tredici per cento), «ambra» è per chi conta fra cinque e venti milioni (l’ottanta per cento, la massa, pure qui).

A differenza di Pi Capital, dove associarsi costa mille sterline e ogni anno bisogna sborsarne quattromila di abbonamento, l’iscrizione a Family Bhive è gratuita per i ricconi, mentre le aziende devono pagare un minimo di diecimila sterline l’anno. In cambio entrano in contatto con possibili clienti vip, celebrità, manager, politici, aristocratici.

Ma nessuno si scandalizza del conflitto di interessi, sono gli stessi membri del club a voler fare affari: per esempio su A small world, altra comunità on line «solo su invito», belli e famosi si scambiano consigli su spiagge e locali esclusivi, su come comprare una Lamborghini o affittare una villa negli Hamptons. Questioni pratiche, quasi da forum qualunque.

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