Farmaci e terapie

Rivoluzione Alzheimer: approvato primo farmaco che rallenta la malattia

Dopo tanti anni di ricerca un farmaco sembra poter rallentare l'avanzata dell'Alzheimer se trattato nelle forme precoci: l'approvazione dell'Fda americana e tutto quello che bisogna sapere

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Giovedì 6 luglio è stata una giornata fondamentale nella lotta al terribile morbo di Alzheimer per il quale non esiste ancora una cura definitiva. La Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti ha dato il via libera al farmaco lecanemab-irmb, nome commerciale Leqembi, dopo i benefici clinici ottenuti in fase di studio.

Ecco come agisce

Si tratta del primo anticorpo amiloide-beta a essere convertito dopo un'approvazione accelerata e un'altra approvazione tradizionale per il trattamento del morbo di Alzheimer. "Il farmaco agisce riducendo le placche amiloidi che si formano nel cervello, una caratteristica fisiopatologica determinante della malattia", recita il comunicato dell'Fda. Nello scorso mese di gennaio questo farmaco aveva già avuto l'ok per essere utilizzato nei casi più gravi e, dalle scorse ore, è disponibile per tutti i pazienti americani che ne avessero bisogno dopo l'efficacia constatata durante i trials clinici.

"Il primo vero farmaco"

"L'azione di oggi è la prima verifica che un farmaco mirato al processo patologico alla base dell'Alzheimer ha mostrato benefici clinici in questa devastante malattia", ha dichiarato Teresa Buracchio, direttrice ad interim dell'Office of Neuroscience presso il Center for Drug Evaluation and Research della Fda. "Questo studio di conferma ha verificato che si tratta di un trattamento sicuro ed efficace per i pazienti con malattia di Alzheimer". Lo studio, multicentrico e randomizzato in doppio cieco (controllato con placebo), è stato eseguito su gruppi paralleli con 1.795 pazienti che presentavano Alzheimer in forma lieve ricevendo la dose di 10 milligrammi di Leqembi ogni due settimane. Ebbene, il farmaco "ha dimostrato una riduzione statisticamente significativa e clinicamente significativa del declino" cognitivo entro 18 mesi dall'inizio della cura rispetto ai gruppi con placebo.

Cosa cambia adesso

A questo punto bisognerà capire quanti pazienti potranno avere accesso al farmaco: come scrive Politico, l'assistenza sanitaria Medicare ha dichiarato che rimborserà i costi di Leqembi (oltre 26mila dollari l'anno) soltanto per coloro che si trovano iscritti in un registro nazionale che tenga conto deglli eventuali effetti collaterali e dei risultati nel corso del tempo. Alcuni medici di famiglia americani temono che l'accesso possa essere ristretto soltanto ad alcune centinaia di migliaia di pazienti per una malattia che negli Stati Unici colpisce 6,5 milioni di persone.

"Le persone che convivono con questa malattia mortale meritano l'opportunità di discutere e scegliere, con il proprio medico e la famiglia, se un trattamento approvato dalla Fda è giusto per loro", ha dichiarato Joanne Pike, Ceo del gruppo di difesa dei pazienti dell'Alzheimer's Association. "L'accesso al farmaco è una delle massime priorità dell'associazione", ha aggiunto. Il gruppo aveva precedentemente chiesto a CMS di ampliare la copertura del farmaco, ma l'agenzia ha negato questa richiesta.

Gli effetti collaterali

A proposito degli effetti collaterali, durante lo studio è stato osservato che quelli più comuni tra chi ha utilizzato Leqembi sono stati mal di testa, reazioni allergiche e anomalie correlate all'amiloide. È stato visto che, temporaneamente, si può andare incontro a gonfiore delle aree del cervello accompagnato da piccole macchie di sanguinamento. Nei casi più gravi possono verificarsi anche edema cerebrale, convulsioni e altri sintomi neurologici. "Leqembi deve essere iniziato nei pazienti con decadimento cognitivo lieve o lieve stadio di demenza della malattia di Alzheimer, la popolazione in cui il trattamento è stato studiato negli studi clinici.

L'etichettatura afferma che non ci sono dati sulla sicurezza o sull'efficacia sull'inizio del trattamento nelle fasi precedenti o successive della malattia rispetto a quelle studiate", conclude l'Fda.

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