FENOGLIO La solitudine del partigiano Beppe

Una completa e partecipata biografia di Piero Negri Scaglione

«Alla ragazza - nella fotografia fatta a pezzi - che pettinava i capelli corvini, in un prato presso Santo Stefano, con il pettine favoloso, egiziano, d’oro e guscio di tartaruga». Sorge così, da dettagli seminati con antiretorica leggerezza narrativa come questa dedica a Mimma Ferrero in Primavera di bellezza (1959), il Fenoglio imprevisto e «partigiano» nel senso più reale del termine, ovvero innamorato della vita, nella biografia a lui dedicata, la prima degna di questo nome, dal giornalista Piero Negri Scaglione, Questioni private. Vita incompiuta di Beppe Fenoglio (Einaudi, pagg. 294, euro 21).
«Partigiano, come poeta, è parola assoluta». E come tale Fenoglio fu grande perché privo, come ogni vero artista, di intenzioni politiche. Perché partigiano è colui che ha fatto una scelta di parte, non importa se quella giusta, purché appassionata e vera. I rapporti di Beppe con le donne diventano, in quest’ottica, essenziali: su tutti quello appunto con Mimma Ferrero, cui il futuro scrittore chiede, nel ’43, di essere sua madrina di guerra. Lei accetta, e comincia a ricevere lettere «bellissime, scritte in un italiano molto personale, già letterario. Piene di espressioni d’amore che certamente non cambiavano i miei sentimenti, ma, come lettrice, mi entusiasmavano. Mi vergognavo moltissimo delle mie lettere di risposta, che non erano all’altezza di tanta poesia». Non disponiamo purtroppo del carteggio tra la donna e lo scrittore: Beppe rivolle indietro le lettere e le ingiunse di non copiarle. Lei obbedì. Ma da Una questione privata, nella figura di Fulvia, sappiamo come la storia di una guerra possa diventare la storia di un amore.
Scaglione ha tutte le carte in regola per occuparsi di Fenoglio: laureato in letteratura inglese, ha approfondito molti degli scrittori che Fenoglio leggeva e traduceva; collaboratore di Guido Chiesa nella realizzazione del film Il partigiano Johnny, è anche autore di un documentario biografico (Una questione privata, trasmesso da Raitre nel febbraio del 1998) per il quale realizzò oltre cento interviste, scoprendo materiale fino allora inedito, cui si va a sommare quello - notevole - accumulato successivamente negli anni e poi confluito in questo volume.
L’idea della biografia, spiega Scaglione nella preziosa postfazione al volume, gli è venuta una sera di dieci anni fa, durante un concerto in memoria di Fenoglio, nella chiesa di San Domenico, ad Alba. La chiesa era piena all’inverosimile e l’atmosfera intensa, tanto che alcuni, rimasti fuori, urlavano per non aver potuto assistere a quella «selvaggia parata»: «Ripensando a quella sera, mi resi conto che nessuno aveva mai raccontato la vita di Beppe Fenoglio. Per noi ragazzi di Alba venuti al mondo dopo la sua morte, Fenoglio era stato una strada, una sala per concerti e conferenze, una gloria locale buona per citazioni e poco altro. Poi qualcuno aveva capito che, scrivendo, aveva aperto una via, forse senza saperlo, sicuramente senza volerlo: partendo da Alba, si poteva sognare Shakespeare e Milton, e pensare di scrivere il romanzo definitivo sulla guerra civile italiana».
La vera novità del libro di Scaglione è d’aver scavato in un’esistenza che non appare come quella codificata classicamente dalla critica e cristallizzata nella boscaglia e nella politica. Fenoglio, già dai primi contatti con la guerriglia partigiana, sembra aver firmato dentro di sé, per dirla con Hemingway, una «pace separata» che gli permette di condurre la propria battaglia sulle Alte Langhe con un occhio più all’amore che alla politica. Amore in senso ampio: per la propria terra, i propri ricordi, le proprie donne. Soprattutto queste ultime, inconsapevolmente crudeli: «Come se il racconto di un amore infelice, che non regge agli urti della vita, fosse un fiume carsico nel suo lavoro di scrittore, pronto a tornare in superficie appena possibile».
Piemontese fino al midollo, «impasto di estrema tenerezza e di rigorosa asprezza» secondo la definizione di Pietro Chiodi, cultore della lingua di Shakespeare nella quale trova una purezza dinamica che l’italiano non possiede, giovane uomo che incrocia con la guerra il proprio destino e scrittore appartato capace di riscrivere la stessa frase venti volte: è il Fenoglio che Scaglione ci restituisce nella luce della più viva quotidianità. Dalla lotta partigiana coi bivacchi nei casolari e le marce notturne ai litigi con la madre nell’immediato dopoguerra: dopo discussioni e scontri verbali durissimi, fu costretto dalle scarse rendite delle sue pagine scritte a cedere e impiegarsi presso la ditta vinicola Marengo come corrispondente commerciale con i Paesi di lingua inglese. Ma non riesce a rassegnarsi: «Lo sai cos’è l’inglese per me?» chiede alla madre. Intendendo: «Come può la passione di una vita, il regno ideale del bello, del giusto, della letteratura, trasformarsi in lettere commerciali, fatture, solleciti di pagamento, transizioni?».
Rimane estraneo anche ai giochi di potere dell’editoria: non capisce come Vittorini, che dirigeva la collana einaudiana «I Gettoni», possa aver scritto per La malora un durissimo risvolto critico che sembra allontanare i lettori più che spingerli all’acquisto. «È come se alla Marengo mettessi un avviso sulle etichette del vino: attenzione questo vino non è buono». E nonostante la diplomatica intermediazione di Calvino, Fenoglio passerà alla Garzanti.


E ancora: l’Hotel Savona come ritrovo abituale; la trasmissione Campanile sera, che vede Fenoglio scegliere i concittadini che dovranno rispondere alle domande di Mike Bongiorno; le sigarette Esportazione che gli saranno fatali; i ritorni sui luoghi delle battaglie di liberazione in compagnia di amici come Aldo Agnelli, autore di numerose fotografie, alcune nel libro, che ci restituiscono senza filtri la timidezza e la gioia di vivere venata di malinconia di un autore che, dopo aver molto vissuto, ha curato più di ogni altro «le ferite della vita con la letteratura».

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