Figuraccia di Palazzo Chigi

C’è un’ondata di protezionismo europeo preoccupante. Gli olandesi stanno alzando le barricate perché la loro Abn Amro bank è contesa da molti pretendenti stranieri. E l’ipotesi del suo spezzatino (le partecipazioni divise tra diversi acquirenti) spaventa il governatore della Banca centrale che si muove secondo il copione che aveva recitato anche Antonio Fazio. L’Authority per l’energia spagnola chiede che una finanziaria pubblica aumenti il suo peso in Endesa così da controbilanciare gli italiani di Enel, che stanno per arrivare con un’offerta da 40 miliardi.
E infine l’affare nostro: Telecom Italia. Pur di non venderla agli americani, Palazzo Chigi sta facendo una figuraccia dietro l’altra. L’ultima con Ronald Spogli, l’ambasciatore americano in Italia. Romano Prodi prima si prende le critiche di Spogli sull’interventismo della politica, poi dice che è tutto chiarito e si è trattato di un malinteso, e poi legge sul Corriere della Sera una lettera infuocata dello stesso ambasciatore che ricorda i rischi di un’Italia con «investimenti che non arrivano». «L’Italia - ha scritto Spogli - ha perso l’interesse da parte di un’azienda di altissimo livello, capace di migliorare i servizi di telecomunicazioni, ridurre i costi per gli utenti e aumentare il valore di un’azienda nazionale».
Gli affari, in un’economia più o meno libera, si possono fare essenzialmente in due modi. Per la qualità della propria merce o per le buone relazioni che il venditore vanta con l’acquirente. Il modello anglosassone prova a seguire la prima strada, quello latino, di cui noi siamo maestri, preferisce la seconda. Il nostro governo sta diventando il cinico campione delle relazioni. E lo stop agli americani temporaneamente lo rafforza: chiunque voglia fare affari in Italia, è ormai chiaro, deve passare per Palazzo Chigi. È lì che ci sono le chiavi di ingresso per l’azienda Italia.
Il punto è che un’economia «irizzata» non ha una chance di successo nel mondo globalizzato: il rischio è di rendere la nostra impresa una piccola bottega senza finestre. La scelta del migliore in funzione di una «buona relazione politica» non regge più alla sfida di un mercato che semplicemente dell’Italia non si occupa. Lo 0,3 per cento delle nostre imprese è controllato, secondo l’Istat, da capitali stranieri. Ebbene questo zero virgola spende in ricerca e sviluppo un quarto del totale delle imprese italiane. Verrebbe voglia di prendere il muso di coloro che propagandano la strategicità, l’italianità e bla e bla e bla e sbatterlo contro questo freddo dato statistico. Il protezionismo ai nostri tempi ha un solo significato: mantenere la presa dell’economia non più attraverso la proprietà pubblica, ma con gli strumenti più forti e meno trasparenti delle relazioni. In questo senso il ramoscello d’ulivo offerto alla Fininvest-Mediaset di Berlusconi rischia di essere una trappola micidiale.

Aprire una relazione (dall’innegabile senso industriale) sulle macerie di un intervento protezionistico andato a buon fine, potrebbe danneggiare la credibilità di un gruppo che ha l’ambizione e lo stile per essere globale. Con l’aggravante di dare un’aria bipartisan alla costruzione di un mercato di relazioni per le quali vince chi sta dalla parte giusta e non chi ha la merce migliore.

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