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Cinzia Romani

da Roma

Stando a Trilussa, poeta dialettale ficcante, «l’amore è un’altalena di perdenti, se si va pari c’è già da star contenti». E tale modo di guardare al sentimento ispira Ti amo in tutte le lingue del mondo, l’ultimo film di Leonardo Pieraccioni (da venerdì nelle sale) che sfida i kolossal hollywoodiani (da King Kong a Le cronache di Narnia), dove si ride e si gustano i talenti degli interpreti cari al regista toscano, dai conterranei Giorgio Panariello e Massimo Ceccherini al lucano Rocco Papaleo. Né cambia la formula vincente di presentare, a ogni nuova commedia, bellezze femminili non notissime, quale la spagnola Marjo Berasategui (Margherita), praticamente un clone di Inés Sastre, fascinosa e modella come lei, identica pure nel neo sopra il labbro. «Gli attori mi sembrano perfetti», esordisce Pieraccioni, ormai stabilito nella sua campagna di Bagni a Ripoli, dove sta lavorando al prossimo film, ancora sceneggiato insieme a Giovanni Veronesi. «In realtà, ho fatto il film che vorrei vedere io stesso, con gli amori “intorcinati” che si rincorrono. Da bravo cabarettista, ho raccontato la propensione a innamorarsi delle persone sbagliate. D’altronde, finora i miei film hanno parlato di amori meno complicati», spiega l’artista, qui anche coproduttore, insieme a Medusa Film. Ma che cosa c’è di tanto complesso, in questa vicenda ambientata a Pistoia, nella cornice affettuosamente scalcinata dell’Istituto Tecnico Pacini, diretto con pugno di ferro da un preside, impersonato dal cantautore Francesco Guccini?
Tutto parte dall’attrazione irrefrenabile che la sedicenne Paolina (la convincente Giulia Elettra Gorietti, classe 1988 già attiva in teatro, in televisione e al cinema, dove la si è notata in Caterina va in città di Virzì) prova per il suo insegnante di ginnastica, l’atletico Gilberto (Pieraccioni). Sublimando un padre, che non c’è, la ragazzina perseguita il docente, scrivendogli «ti amo» in tutte le lingue del mondo, su dei foglietti infilati un po’ ovunque. Naturalmente il prof non gradisce, sia perché la minorenne è pericolosa, sia perché a lui piacciono le donne mature, come l’ex-moglie, quantunque gli abbia regalato un palco di corna. E come Margherita, la mamma della ragazzina con le fregole. «L’idea del film m’è venuta in un bar davanti a una scuola», dice l’autore de Il ciclone, l’incasso più alto nella storia del cinema italiano (nel 1996 totalizzò oltre 75 miliardi).
«Due studentesse mi han riconosciuto: una m’ha salutato, con il “lei”; l’altra, invece, m’ha fatto capire che gli piacevo, in modo esplicito», narra Pieraccioni, affermando di stare a Guccini come Fede sta a Berlusconi, ossia sdraiato sul tappeto dell’ammirazione. Inamovibile da Pavana, il cantautore (visto in Radiofreccia di Ligabue), è stato rassicurato dal regista: avrebbe girato a 49 chilometri dal suo paese.
Nella gradevole farsa, l’Italia provinciale di Pistoia e dintorni inquadra bene i personaggi da lavanderia, luogo prediletto da Cateno (un Panariello smagrito e balbuziente, ottimo nel ruolo del grullo di paese), alias il fratello perdente del vincente Gilberto. «Con Leo siamo amici dai tempi di Fratelli d’Italia, quando indossavamo costumi da dopolavoro e mi è piaciuto interpretare una parte non comica, dopo l’esperienza tivù di Matilde, con la Ferilli. Di Cateno amo la tenerezza. È lui il narratore della vicenda», commenta Panariello, a gennaio sul palco di Sanremo.

«Perché chi fa il sabato sera, non può fare il cinema?», conclude lo showman, annunciando un film sull’attore Renzo Montagnani (vedi pezzo sotto). E Ceccherini? Fa il frate stralunato. Prima d’indossare la tonaca, però... Il finale è a sorpresa.

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