RomaDopo la fiducia di venerdì, uno dei suoi più stretti collaboratori se lera lasciato scappare a Montecitorio: «È iniziata la campagna elettorale». Passati due giorni Gianfranco Fini fa seguire alle parole i fatti. Con il paradosso che a dare il via alla corsa al voto che ormai per tutti sembra più vicino è la terza carica dello Stato. Che non risparmia affondi al governo e a Berlusconi tanto da beccarsi a sera la piccata risposta di Alfano che lo accusa di «piegare la propria funzione» a «scopi puramente elettorali».
Ma andiamo con ordine. Da Napoli, durante una manifestazione Fli, Fini è quasi inarrestabile. Perché, dice, sulla crisi «il governo ha preso in giro se stesso e gli italiani negando lemergenza fino a un minuto prima che esplodesse». Lattacco si concentra sulleconomia, sul rapporto con la Lega («Insulta in modo intollerabile ogni giorno il Sud e si tengono gli occhi chiusi, pur di continuare a governare») e sulla legalità. Nel mirino cè il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano che «dovrebbe dimettersi» poiché indagato «per reati particolarmente inquietanti». «Si dimetta prima lui», replica Romano facendo il verso a quando il presidente della Camera promise di lasciare se si fosse dimostrato - comè accaduto - che la casa di Montecarlo era del cognato. Fini, aggiunge Romano, «è un capo partito che approfitta del ruolo istituzionale, cosa da impeachment».
In tema di legalità, Fini torna a sottolineare il ruolo essenziale di magistratura e forze dellordine, ringrazia uomini e donne in divisa per il lavoro di sabato a Roma, critica aspramente i tagli «alle già esigue risorse» a loro disposizione. La legge, aggiunge, è uguale per tutti: non si può dare limpressione, «come troppe volte è accaduto», di poterla «piegare a proprio vantaggio» se si dispone di «mezzi, conoscenze e strumenti». E se gli italiani potessero indicare priorità al Parlamento «non inserirebbero certo intercettazioni e processo breve». Leconomia è laltro filone su cui si concentra Fini, perché la crisi «veniva negata fino a poco fa» da Berlusconi e Tremonti e si dipingeva unItalia «da Mulino bianco», «confondendo propaganda e politica».
A sera è il segretario del Pdl a puntare il dito contro Fini, dando il la a quello che sarà uno scontro destinato a trascinarsi per giorni. A dar fuoco alle polveri era stato Cicchitto accusandolo di essere diventato «la contraffazione di un presidente della Camera». Ancora più duro Alfano: «Non si era mai verificato nella storia della Repubblica che una così alta funzione fosse piegata a scopi puramente elettorali e partitici». Né che un presidente della Camera «irridesse il partito e la maggioranza che presiede, definendola addirittura caricatura».
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