"Fiorello, ti aspetto a Strisca diciamo per altri 25 anni"

Antonio Ricci, il guru di Canale 5, spalanca la porta del tg satirico allo showman: "È un programma perfetto per lui, venga anche per un breve periodo". Di Lilli Gruber dice: "Più Velina lei di una ragazza che balla in uno show"

"Fiorello, ti aspetto a Strisca 
diciamo per altri 25 anni"

Caro Antonio Ricci, cominciamo dall’ultimo week end. Oltre a Striscia che continua a vincere e convincere, sono partite con grande successo anche Paperissima e Paperissima sprint: papere, gabibbi, Moreire e ballerine. Ha un segreto?
«Il segreto è lavorare con una squadra affiatata e collaudata, che si capisce al volo. Lorenzo Beccati è con me dal secondo anno di Drive in, Max Greggio, dal terzo, come Gennaro Ventimiglia. Poi ci sono stati altri inserimenti che considero giovani ma sono vecchi perché si sono aggiunti solo da vent’anni. E anche la regista di Paperissima è nel gruppo dai tempi di Drive in».
Con lei le star non fanno i capricci, per paura o riconoscenza?
«Perché c’è il riconoscimento di una funzione precisa. Le loro bizze sono anche le mie, questo permette loro di lavorare in relax. Faccio un esempio al contrario: il povero Pippo Baudo deve pensare a tutto, dalle luci ai cavi agli ospiti. Così, quando va in onda è già stremato». Lei è avvantaggiato dal fatto di non andare in video...
«Io preparo la cucina, prima e dopo il pranzo. E la star può pensare solo all’esibizione. Anche a livello di esposizione mediatica, i conduttori di Striscia vengono manlevati dalle situazioni scabrose. Le grane, le denunce, le polemiche più hard, me le prendo tutte io».
Michelle Hunziker ha detto che lavorerebbe con lei per tutta la vita...
«Mi fa piacere, perché spesso certi ruoli non vengono riconosciuti. Nel nostro gruppo si lavora non per spremere, ma per arricchire, per dare valore aggiunto alle star».
Quest’anno Striscia è «la voce della supplenza». Di che cosa?
«L’idea è che Striscia sia la supplenza, cialtrona e un po’ sfigata come tutti i supplenti dei vari poteri: giustizia, informazione eccetera. Una supplenza fatta in modo improbabile, con metodi parodistici, senza supponenza».
Ecco, non è stanco anche lei di sentire che il vero giornalismo lo fa Striscia? In fondo ci sono anche la Gabanelli, Floris...
«C’è stato un periodo in cui i giornali scrivevano che le inchieste le portava avanti solo il Gabibbo ed era vero. Da una decina d’anni, per fortuna, le fanno anche tanti altri. Però il pungolo della supplenza rimane. Cioè: il giornalista vero si deve misurare con il Gabibbo... Il mio problema è che divento credibile...».
È giusto che la prendano sul serio, ma non troppo...
«Se mi prendono troppo sul serio, sono costretto a accentuare la parodia. Mandando in giro uno con uno sturacessi in testa a risolvere i problemi, un altro con un sederone gigante, un altro travestito da abete. L’impianto è quello del varietà e non della verità. Facciamo l’inchiesta serissima con un tapiro... È il linguaggio della provocazione».
Difendendo le veline, Berlusconi si è schierato dalla sua parte...
«C’è sempre qualcuno che si scaglia contro la parodia anziché contro l’oggetto della parodia. Lilli Gruber che cambia venti pashmine nel teatro di guerra dell’Irak è più velina di una ragazza che, per ruolo, danza in un varietà. Questo lunedì ho mostrato i due magazine del sabato di Repubblica e del Corriere traboccanti di donne utilizzate come attaccapanni, donne ammiccanti, il baedecker dell’aspirante velina. Poi all’interno di questi giornali, pensosi opinionisti stigmatizzano le veline, cioè la parodia di quello che loro stessi dispensano continuamente in dosi massicce».
Parliamo del campionato della tv. Secondo lei si può dire che Canale 5 è in crisi?
«C’è casino in generale. Ma c’è un decadimento dei programmi che viene da lontano. Ci vorrebbe il protezionismo delle produzioni tv. Rai e Mediaset dovrebbero essere obbligate a produrre elevate quote minime di trasmissioni italiane. La tirannia degli ascolti e dei budget non concede il tempo necessario a sperimentare nuovi conduttori, nuovi volti, nuove formule. Le prove vengono considerate perdite di tempo, un’assurdità, sia in Rai che in Mediaset».
Tolti lei e Maria De Filippi, tutto il resto va così così...
«Anche Zelig che va bene».
Nel calcio quando una squadra è in crisi spesso si caccia l’allenatore. A Mediaset cosa si fa?
«Si cerca di mettere i bastoni tra le ruote a quelli che funzionano. Ma parliamo dei giornali. Mi pare che siano messi molto ma molto peggio...».
I giornali si confrontano con mezzi molto più potenti...
«Mi sono trovato in situazioni grottesche nelle quali vengono gonfiate notizie inesistenti che denotano un’idea fasulla del pubblico. Una volta provata la falsità della notizia, non succede nulla. La smentita o l’autocorrezione non sono previste, perché sembra di perdere credibilità. Invece la credibilità è ammettere i propri errori».
Lei e la De Filippi siete il Kakà e il Pirlo di Mediaset: chi è Gattuso?
«Io e Maria siamo figure diverse, lei va in video io no. I miei pirlo gattusati sono Greggio e Iacchetti, Michelle Hunziker, Gerry Scotti, Juliana Moreira, Ficarra e Picone e gli stupendi inviati di Striscia».
Si può fare televisione ad alti livelli senza prendersi troppo sul serio?
«Ogni tanto bisogna fingere di prendersi sul serio per ottenere garanzie di buon senso. A volte minaccio di non andare in onda. Vivo in situazioni di casino tale da sperare di cambiare lavoro cento volte al giorno. Però, essendo la mia natura birbante, alla fine prevale lo sberleffo».
Quest’anno sembrano funzionare sostanzialmente due generi: la tv vintage e i reality...
«L’Isola è in crescita, per La Talpa è presto per parlare di successo. Per dire se i reality tirano davvero bisogna aspettare le quattro puntate finali».
La vintage tv è solo nostalgia o anche un fatto tecnico? Marketing sull’età e materiali d’archivio che costano poco...
«È anche un fatto tecnico sul quale si basa il rilevamento degli ascolti. Per esempio è considerata single la vedova di novant’anni, mentre non lo è la trentacinquenne che non ha il telefono fisso e usa solo il cellulare, dunque non è rilevata. I problemi derivano dal fatto che tutto è virtuale. Così si enfatizzano dati che ai pubblicitari dovrebbero interessare poco. In America l’auditel funziona fino a 54 anni. L’auditel è fatto per rilevare gli spazi pubblicitari e non i programmi. È come un attrezzo che deve contare i semi dell’anguria invece diventa l’unico strumento per valutare la qualità della polpa».
Anche le veline stanno assumendo un look vintage...
«L’altro giorno sembravano delle Barbarelle. Però stiamo lavorando per essere più trendy. Per esempio abbiamo presentato i Lost, un gruppo di tendenza, nato su internet e con un pubblico ultragiovanile... Comunque, non mi pongo mai come prima domanda quanti ascolti farò, ma se ciò che propongo sarà divertente o interessante».
Faccio finta di crederci...
«Che cosa andiamo a fare è davvero la prima questione. L’ascolto viene di conseguenza. Sono abituato che prima viene il pensiero e poi l’azione. Invece in tv il pensiero dominante è che prima si agisce e poi si cerca un’idea per aggiustare».
I reality invece vanno di più per la generazione che è riuscita ad agganciarsi a internet?
«Sì, perché hanno un certo grado di interattività. La fine del reality è la controprogrammazione con un altro reality. Muoiono per sovradosaggio, come stava accadendo un paio di anni fa. Sono già un genere residuale, da proteggere». [DOM-INTERV]Senta Ricci, se Paolo Ruffini diventasse direttore di Raiuno e trasferisse dopo il Tg1 Fazio e la Littizzetto, la spaventerebbe? [/DOM-INTERV]«No. Non sono spaventato dalla concorrenza sullo stesso genere. Invece, ritengo osceno il fatto che la Tv di Stato, che è un servizio pubblico, proponga un gioco in cui i concorrenti e il pubblico credono che, attraverso la casualità, si possa cambiare vita».
Se arrivasse Fazio su Raiuno lei tenterebbe l’assalto finale a Fiorello?
«Fiorello è un mio pallino. Gli ho aperto tutte le strade, diciamo che lo aspetto ancora per venticinque anni. Adesso ha tutti gli elementi per decidere in serenità: il pubblico in studio l’ho messo solo per convincerlo a venire nei prossimi decenni; lui quest’anno ha potuto constatare quanto non sia facile fare un programma in quest’orario; perciò unendo le sue forze, anche autorali, con le nostre, potrebbe godere di una tranquillità totale. Può venire anche per un breve periodo: Striscia è perfetto per lui».
Il suo amico Beppe Grillo è sparito durante questa crisi planetaria, lui che aveva anticipato il crac di Parmalat... Ha ascoltato il suo consiglio di diventare carsico o sta lavorando alla nascita di un partito?
«A Grillo gliela menano sempre: se c’è perché c’è; se non c’è perché non c’è. Semplicemente sta partendo con una nuova tournée teatrale e già Milano è piena di manifesti».
Resta il fatto che alle liste civiche ci ha pensato. Diventerà un capopartito?
«Ma no... Alla fine, i comici sono soprattutto beffardi. E Beppe è il più grande comico che c’è in Italia (quando vuole)».
Boom. E Benigni dove lo mettiamo?
«Lo mettiamo secondo, con qualità diverse...».
Che cosa pensa dei critici televisivi?
«Penso che siccome la tv è sempre la stessa, almeno dovrebbero cambiare i critici. Lo dico per la loro salute mentale. È facile che sclerino, a forza di guardare, o non guardare, questa tv».
A proposito di salute, non crede che nelle cliniche dove si curano i dipendenti dal sesso e da internet, ci vorrà anche un reparto per i dipendenti da audience?
«Forse un reparto così può avere un senso. Per quanto mi riguarda, il mio antidoto è dato dal fatto che non compaio in video se non in occasioni prestabilite in cui so che cosa faccio, cioè vado a prendere il Telegatto, punto e basta: faccio del trasporto. Per il resto, ho sempre sostenuto che la tv sia un posto perfetto per l’ergoterapia, la cura con il lavoro.

Nel senso che molti maniaci sessuali, mitomani, drogati, gente afflitta da manie di persecuzione, megalomani, frustrati, perversi poliformi, insomma gente come me, per fortuna lavorano in tv perché sono rinchiusi in un luogo molte ore al giorno. Se fossero liberi di circolare per strada o nei parchi farebbero molti più danni».

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