Luca Fazzo
Enrico Lagattolla
Milano Ottocento milioni di euro, equamente suddivisi: quattrocento milioni a Domenico Dolce, quattrocento a Stefano Gabbana. È una cifra gigantesca, il conto più salato che il fisco italiano presenta da molti anni a questa parte a una persona fisica: otto volte, per dare un’idea, la megamulta consegnata al recordman precedente, il motocampione Valentino Rossi. E la colossale tegola piomba su due tra gli imprenditori italiani più famosi del mondo, i creatori di una delle griffe di punta della moda made in Italy: gli inventori del marchio «D&G». Secondo la Guardia di finanza, la raffinatezza del sistema architettato da Dolce e Gabbana per fare sparire redditi dalle loro dichiarazioni non ha nulla da invidiare alla raffinatezza delle loro collezioni di moda.
Il rapporto conclusivo del Nucleo di polizia tributaria di Milano è stato inviato nei giorni scorsi alla Agenzia delle entrate, che si occuperà materialmente di attivare la procedura per ottenere dai due stilisti il pagamento della monumentale sanzione. La consegna è avvenuta senza clamori: anche perché sia Dolce che Gabbana hanno dimostrato in passato di non apprezzare questo tipo di esposizione mediatica. Un anno fa, quando a finire nel mirino del fisco fu la loro società, reagirono minacciando di togliere la pubblicità ai quotidiani che avevano pubblicato la notizia. Il che non impedì che la storia facesse il giro del mondo.
Quell’accertamento si concluse con una sanzione di oltre 90 milioni di euro a carico del gruppo imprenditoriale controllato dai due. Una sanzione severa, ma ben poca cosa rispetto alle conseguenze del lavoro che le «fiamme gialle» milanesi hanno continuato a fare nei mesi successivi, prendendo di mira non più l’azienda D&G ma direttamente le persone fisiche dei due fondatori. È nelle tasche dei due titolari, il 51enne siciliano Domenico Dolce e il 47enne milanese Stefano Gabbana, che sarebbero finiti i principeschi proventi della complicata operazione di architettura societaria messa in piedi a partire dal 2004.
Nell’avviso di accertamento firmato dalla Guardia di finanza i due sono accusati di elusione fiscale e di abuso di diritto. Si tratta, come si intuisce anche dai termini, di illeciti tributari che non rivestono di per sé rilevanza penale. Non siamo di fronte, cioè, a delitti fiscali, ma a una serie di comportamenti formalmente leciti ma che vengono messi in atto senza altro obiettivo se non quello ridurre la pressione fiscale. Come recita una sentenza di qualche mese fa della Cassazione: «il contribuente non deve mai trarre vantaggi fiscali indebiti dall’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale».
Esattamente questo è invece quello che hanno fatto D&G. D’altronde la ricostruzione che i finanzieri milanesi hanno compiuto della mutazione della struttura societaria del gruppo, fatica a trovare spiegazioni al di là dell’astuzia fiscale. Nel 2004, infatti, il sistema delle royalties viene sottratto a una struttura fino a quel momento lineare - con alla testa la società a responsabilità limitata D&G, con sede a Milano - e trasferito a una catena di scatole cinesi. La testa del gruppo è portata in Lussemburgo, dove viene fondata una società, la Dolce&Gabbana Luxembourg, che controlla il 100 per cento di un’altra società, la Ga.Do. srl, nel cui board siedono il fratello e la sorella di Domenico Dolce, Alfonso e Dorotea, e il direttore finanziario Cristiana Ruella. Il 29 marzo 2004 la D&G italiana cede per 360 milioni di euro il diritto di sfruttamento dei marchi creati dai due stilisti alla Ga.Do. srl.
Da quel momento, il fiume di denaro costituito dalle royalties non è più soggetto al trattamento fiscale italiano ma a quello del Granducato. Eppure - come hanno accertato le indagini della Guardia di finanza - il cuore e il cervello della holding D&G restano saldamente in Italia. In Lussemburgo, al massimo, i contabili del gruppo propongono di tenere qualche riunione per dare credibilità al trasferimento della cassa all’estero.
Dopo oltre un anno di indagini, le «Fiamme gialle» hanno concluso il loro lavoro e ora passano la palla all’Agenzia delle Entrate. Se non ci saranno sconti, la multa di Dolce e Gabbana basterà da sola a ricostruire il dieci per cento dell’Abruzzo.
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