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Francia al ballottaggio con il dilemma nucleare

Sarkozy si prepara a colpire Hollande sul suo programma di tagli alle centrali. Una scelta che potrebbe comportare aumenti del 30% in bolletta e la fine del mito dell'indipendenza energetica in un Paese in cui quasi il 79% della produzione totale di energia elettrica proviene dal nucleare.

Chiuso il primo tempo della sfida presidenziale francese con il ballottaggio tra Francois Hollande e Nicolas Sarkozy, si apre ora la corsa verso il ballottaggio. Quindici giorni di duelli dialettici in cui, inevitabilmente, tornerà a fare capolino il tema del nucleare. Sul futuro energetico della Francia il dibattito è serrato. Ma tra tutti i candidati con qualche chance di ottenere la poltrona dell'Eliseo, nessuno si è spinto fino a proporre l'abolizione totale dell'atomo. Il motivo? Semplice: il nucleare soddisfa oltre il 75% dei consumi elettrici francesi ed è un simbolo di grandeur a cui da sempre Parigi non vuole rinunciare.
Il presidente uscente, Nicolas Sarkozy, ha più volte dichiarato che le scelte in questo campo non sono in discussione. Una posizione netta a difesa degli interessi francesi sposata anche per motivi geopolitici, ovvero per garantire l'indipendenza energetica della Francia. Più ambigua e oscillante la posizione dello sfidante socialista François Hollande, favorito per la vittoria finale, che da una parte lega il nucleare all'esigenza di limitare le emissioni di gas serra, dall'altra ipotizza una riduzione del contributo dell'energia nucleare che potrebbe scendere al 50% del fabbisogno nazionale entro il 2025 con la chiusura di 24 reattori su 58. Una indecisione dovuta alla necessità di concedere qualcosa all'alleanza con i Verdi, tetragoni nella loro posizione antinuclearista.
Nei fatti una scelta di questo tipo sarebbe devastante per la Francia, soprattutto in presenza di questo ciclo economico. Per i cugini d'Oltralpe significherebbe, in pratica, accollarsi una spesa da 60 miliardi di euro esclusi i costi dello smantellamento delle centrali, perdere di fatto l'indipendenza energetica e rinunciare a quel vantaggio competitivo di cui le imprese francesi possono godere rispetto alla concorrenza italiana e non solo. Non a caso Sarkozy ha subito imbracciato la sciabola, definendo la proposta di Hollande «una svendita irresponsabile di cui saranno i francesi a pagare il conto» con un marcato rialzo delle bollette (si prevede fino al 35-40%) e un immediato aumento dell'inquinamento atmosferico.
Peraltro la Francia, meno di un mese fa, ha operato un vero e proprio rilancio al tavolo del nucleare. Insieme a Gran Bretagna, Polonia e Repubblica Ceca, ha chiesto alla Commissione europea e ai ministri Ue per l'economia e l'energia di rendere possibili sovvenzioni pubbliche europee anche all'atomo civile, non solo alle energie pulite rinnovabili. Una mossa che mostra quanto poco abbia inciso la svolta tedesca, cioè l'addio accelerato al nucleare post-Fukushima e la chiusura a tappe forzate dei reattori ancora in funzione in Germania. Una decisione che Berlino sta facendo fatica a mettere in pratica e a tradurre in una precisa road map. Britannici, francesi, polacchi e cechi chiedono, in sostanza, all'Unione europea di trattare l'uso a fini civili dell'energia atomica alla stregua degli impianti fotovoltaici o eolici, cioè produzione d'energia a bassa emissione di CO2. Il principio invocato è quello della «neutralità» istituzionale di Bruxelles di fronte alle diverse tecnologie.

Di fronte a questo scenario, Sarkozy fin dai prossimi giorni, avrà gioco facile nel richiamare il Paese alla responsabilità, ricordando che il nucleare è da sempre una scelta bipartisan, assunta nel supremo interesse della Francia.

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