Frenetico «Helzapoppin’» tra mutanti e androgeni

Ci sono tanti modi di raccontare la storia dell'umorismo nel mondo dello spettacolo. Il più collaudato è quello del musical dove il rapido incalzare e sovrapporsi del «botta e risposta» in omaggio alla ben nota ricetta slapstick delle torte in faccia e dello sgambetto programmato, confortato dal rapinoso andante delle sette note, eccita l'entusiasmo del pubblico.
Poi c'è la citazione accattivante della commedia con musiche (che è un derivato del musical) dove suoni e strumenti sottolineano la mimica stralunata degli interpreti (ricordate il recente The Producers?). Ma non s'era mai vista, come accade oggi nello spiritoso adattamento curato da Maurizio Micheli, per l'occasione anche regista, una vivisezione in piena regola compiuta sul corpus della farsa del bel tempo che fu.
Come accade in Prova a farmi ridere dove, sulla traccia offerta da un allettante copione di Alan Ayckbourne, Micheli ha giocato alla grande componendo, memore delle Cronache marziane di Bradbury e dei salti temporali di Orwell, una stupefacente galleria di citazioni sul nostro mondo alla deriva.
Tutto infatti comincia e finisce in uno studio televisivo dove si gira l'ennesimo serial strappalacrime su chirurghi che amputano arti al paziente di turno tra la costernazione e il piagnisteo dei parenti. Per finire nel mondo degli androidi con uno dei malcapitati autori dello script che, innamorato dell'incantevole robot Benedicta Boccoli, fugge con lei regalandole l'anima che la fanciulla di plastica non possiede fino ai fiori d'arancio del finale.


Che provocano la tragica dipartita della cattivona di turno Paila Pavese mentre Pino Quartullo, da autentico gentleman, applaude al ritorno dell'androide nell'arena imperfetta della condizione umana.PROVA A FARMI RIDERE - di Ayckbourne/Micheli Regia di Maurizio Micheli, con Pino Quartullo e Benedicta Boccoli. Teatro Manzoni, fino al 28 maggio.

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