Se avete visto il film Carnage di Roman Polanski sicuramente avrete letto Il Dio del massacro della scrittrice e drammaturga francese Yasmina Reza, o viceversa. Bravissima nelle storie semplici e basate su dialoghi, perfette per il teatro anche quando sono romanzi. Storie che svelano la follia insita in ogni essere umano, storie senza finte consolazioni (come per esempio Felici e felici, Adelphi), di disincanto esistenziale, che portano l'ordinarietà, la quotidianità in una zona borderline dove l'istinto inghiotte la ragione.
Il suo nuovo libro pubblicato in Italia è appunto una pièce teatrale, e si intitola Conversazioni dopo un funerale, e è edito come tutti gli altri da Adelphi. È in realtà un'operina del 1984, e nonostante il titolo che promette benissimo, purtroppo ancora acerba, sebbene nell'acerbo ci siano tutti i semi della Reza che verrà.
Situazione: un padre defunto, due fratelli e una sorella, uno zio con moglie, e la ex di uno dei due fratelli che si mette a flirtare con l'altro, con tanto di amplesso sulla tomba del defunto. Le disposizioni di scena dell'autrice sono precise: «Nessun realismo. Un unico spazio aperto. Il bosco, la radura e la casa sono solo suggeriti, attraverso una successione di elementi, per fare in modo che i momenti di buio, graduali o repentini, siano più brevi possibile».
Il problema è che, se dati questi elementi, vi aspettate qualcosa di interessante, un crescendo esplosivo, non ci sarà, anzi. Tutto si affloscia, tutto sprofonda in una sabbia mobile di sbadigli. I personaggi raccontano quello che avrebbero voluto fare o essere, perché ogni funerale è anche un momento tragico per ricapitolare la propria esistenza, ma ogni scambio, ogni pagina, ogni scambio di battuta, è una miccia senza bomba. Quelle bombe che Reza imparerà a innescare dopo, rendendo le parole affilate nelle situazioni più comuni, tirando fuori il massacro dei rapporti coniugali e familiari, la ferocia dell'umanità privata dalla sua maschera sociale (cosa che Polanski, giustamente, non si è fatto sfuggire).
Qui è come se puntasse a Beckett ma non
riuscisse neppure a essere a livello di Sophie Kinsella (che non avrebbe scritto una pièce così noiosa). Consigliato comunque ai lettori e lettrici affezionati, reziani impenitenti (non renziani, eh), senza troppe aspettative.
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