da Roma
Quando si hanno più di dieci (il conto esatto non lo sa nessuno) partiti nella propria coalizione, è un po complicato soddisfarli tutti. Lo si è visto durante gli scorsi giorni e notti nelle sanguinose trattative per la formazione del governo; lo si è visto anche ieri allesordio parlamentare di Romano Prodi.
Il premier ha badato ad attenersi strettamente al volumone del programma, senza voli pindarici né chiamate agli applausi (scarsini, infatti), ma nonostante prudenza e understatement un po di fischi dal loggione sinistro gli sono comunque arrivati. Hanno iniziato di primo mattino tre quotidiani «fiancheggiatori» del governo, lUnità, Liberazione e il Riformista. Sulla prima pagina del quotidiano diessino un titolo inequivocabile: «Ma nel governo solo sei donne. E quasi tutte senza portafoglio». Sullorgano di Rifondazione comunista è invece la neo senatrice Rina Gagliardi a colpire con un editoriale nel quale denuncia «un grave limite strutturale» e perfino «un serio deficit democratico» nel governo Prodi: «È assai più maschile e patriarcale di quanto fosse auspicabile e perfino prevedibile, visto che alle donne sono stati assegnati pochi ministeri (sei in tutto) ma quasi tutti senza portafoglio e nessun ministero politicamente pesante». Insomma, nota Liberazione, dopo «tante chiacchiere» solo «un angolo di Cenerentole» destinato «al massimo a ingentilire la rude virilità della squadra governativa». Ma in ultima pagina va ancora peggio: la rubrica «Il commento», firmata dallultrà Fiom Giorgio Cremaschi, è tutta in bianco, sotto il titolo: «Quello che penso del nuovo governo». Con una postilla: «Per non creare altri guai al direttore». Cremaschi ne pensa male assai, è intuibile. Quanto al quotidiano arancione, il titolo di apertura parla di «premier forte», sì, ma «col Cencelli alla mano», e denuncia «il dilagare della lottizzazione di partito, tra scambi, ricicli e scorpori».
Ascoltato il discorso della corona di Prodi, il segretario radicale Daniele Capezzone lo rimanda a settembre: «Governo vecchio, un centrosinistra di incapaci e di bolliti. Sarebbe stato molto meglio se al Senato Prodi avesse citato il tema delle unioni civili. Non lo ha fatto: io mi auguro che lo faccia nelle future occasioni». Anche se riconosce indirettamente che il Prof si è in fondo attenuto al programmone, che sui Pacs sorvola ampiamente per mancanza di accordo ed eccesso di baciapile nelle sue file: «Franchezza per franchezza - dice Capezzone - per noi il punto è che bisogna ripartire da zero sul tema, visto che consideriamo insufficiente il compromesso raggiunto nellUnione. Riproporrò uniniziativa parlamentare». Anche il ds Franco Grillini batte sullo stesso tasto dolente: «Faccio appello al presidente del consiglio affinché nella replica faccia un chiaro riferimento almeno a quella parte del programma che parla di unioni civili, una parte che non sappiamo ancora come si traduca con chiarezza in termini legislativi».
A ciascuno il suo: i Verdi non sono particolarmente interessati ai Pacs, ma trovano «carente» la parte del discorso relativa allambiente, «come se vi fosse ancora una sottovalutazione del fatto che la sostenibilità sia un fattore di sviluppo, di modernizzazione e di competitività del Paese», dice il senatore Ripamonti, augurandosi anche lui che nella replica Prodi faccia meglio. La partigiana e femminista storica Lidia Menapace, senatrice Prc, torna a bacchettare il premier sulle donne nel governo: «Poche, prive di portafoglio e in più confinate in una serie di deleghe che fanno torto alla competenza delle donne». Il suo capogruppo, Giovanni Russo Spena, apre invece il fronte pacifista: bene sullIrak, «Prodi ha detto ciò che è nel programma, ossia ritiro immediato», salvo «tempi tecnici». Ma ora bisogna aprire «una discussione seria anche sulla missione in Afghanistan, cui siamo sempre stati contrari».
È già fuoco amico sul premier: «Parte con un deficit democratico»
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