
Pochi dipinti procurano felicità come il Battesimo di Cristo (1501 circa), tavola custodita nella chiesa di Santa Corona a Vicenza, capolavoro di Giovanni Bellini realizzato nei primi anni del Cinquecento.
Bellini è il maestro grazie al quale la pittura veneta, rimasta prima di lui un fenomeno laterale dell'arte italiana, assurge a livelli di poetica e qualità ineguagliati nel resto d'Europa.
Nato a Venezia intorno al 1430 e morto ultraottantenne nel 1516, Bellini deve la sua straordinaria modernità al fatto di non sentire più il legame col passato greco-romano attraverso la venerazione dei suoi modelli culturali, secondo i più ortodossi canoni della civiltà umanistico-rinascimentale.
Questo legame, reciso da Bellini, era particolarmente vivo in Mantegna, cognato al cui seguito Giovanni si pone dopo esordi che lo vedono muoversi dietro il padre Jacopo, punto di passaggio obbligato fra Tardo Gotico e Rinascimento.
Bellini si riconosce piuttosto in un'intuizione dello spirito, una filosofia di vita in grado di accomunare l'uomo antico e l'uomo del presente. Aspira, cioè, a stabilire con la natura un rapporto di perfetta armonia, massima espressione possibile del divino.
Per dare immagine a questa visione, bisognava inventarsi una nuova tecnica capace di concentrarsi su ciò che poteva derivare direttamente dalla percezione ottica. Con Bellini, infatti, la maggiore risorsa della pittura non sta più nel congegnare spazi immaginari, corpi dalle solidità statuarie o narrazioni fantastiche, ma mirare all'interiorità di chi guarda, cercando nella corrispondenza fra occhi e cuore l'adesione sentimentale a ciò che si rappresenta.
È il colore il mezzo espressivo a cui Bellini affida maggiormente le sorti della sua nuova pittura. Un colore intenso, dalle tinte cariche, irrobustito dalla lacca (il famoso rosso alla veneziana).
Mediante velature sovrapposte raggiunge una straordinaria morbidezza di toni intermedi, sviluppando la tecnica fiamminga (decisivo in questo il contatto, intorno al 1475, con Antonello da Messina).
Il disegno, tanto esaltato nella Toscana rinascimentale, e ancora marcatissimo nelle opere di influenza mantegnesca di Bellini, viene progressivamente circoscritto a un ruolo di preparazione della partitura cromatica.
Quando si trova a dipingere per Vicenza su incarico di Giovan Battista Garzadori, in procinto di recarsi a Gerusalemme, Bellini innova senza però sconvolgere, rispettando l'artista che in terraferma meglio lo emulava, anche se irrigidendo ieraticamente le composizioni, Cima da Conegliano.
Non fosse per l'unificazione in un solo campo, il Battesimo avrebbe un'impostazione abbastanza tradizionale con la scena suddivisa in due registri, in alto il Dio Padre fra nimbi con cherubini, serafini e la colomba dello Spirito Santo, in basso il Cristo col Battista e le presumibili personificazioni delle Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità.
Ciò che è nuovo è il rapporto atmosferico, di grande coinvolgimento emotivo. Il cielo aurorale e il paesaggio di fondo, con i monti azzurrati, sono una risposta agli sfumati leonardeschi. Il castello è forse una allusione alla Città di Dio. Tutto stabilisce un rapporto di contrasto con la scurita natura più vicina a Cristo, punto di arrivo di una prospettiva ribassata, che conferisce maggiore profondità allo spazio. Dallo spuntone di roccia il Battista non può fare a meno di ammirare la divina simmetria di un corpo candido che, malgrado il gesto pudico, quasi femminile con cui copre il petto, si sta offrendo, analogamente all'Uomo vitruviano di Leonardo, come parametro universale di perfezione. Una perfezione che non ha bisogno del calcolo e della ragione per essere captata dai nostri sentimenti.
Eccola la superiorità che Bellini riconosce al mondo moderno rispetto all'antico, l'avere scoperto la verità di Cristo, l'uomo fattosi unico Dio possibile, un Dio che a sua volta è natura, come avrebbe detto poi Spinoza, nelle scogliere di lago ancora mantegnesche come negli alberi che sono dritti al pari di Cristo perché a lui fratelli, oppure nel divertente pappagallo appena giunto dalle Americhe il cui verso ripete ossessivamente ave. Solo l'idealismo di Raffaello, in questo momento, può valere l'altissimo naturalismo di Bellini.
Dice bene di lui Longhi: "prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco; eppure sempre lui, caldo sangue, accordo pieno e profondo tra l'uomo, le orme dell'uomo fattosi storia, e il manto della natura".