Andrea Vento
Se, stando alle cronache, poche sembrano essere le informazioni carpite negli anni immediatamente precedenti la guerra dalle nostre agenti operative in alcove austroungariche, ben diversa è invece l’attività compiuta a Roma negli anni della Grande guerra da compiacenti e generose signore al servizio dell’Evidenzbureau e della Abteilung III B tedesca. L’ipotesi di un complotto di allegre nobildonne, come quello delle spie vaticane in abiti talari, diviene tra il 1917 e il 1918 un’incontenibile psicosi negli ambienti politici e giornalistici della capitale. Propaganda o verità? Sarà difficile appurare la veridicità dei sospetti. Comunque è ricorrente, e oggettivamente ben strano, che numerosi ufficiali di Stato maggiore italiani cadano tra le lenzuola di teutoniche bellezze ancora residenti in Italia, nonostante le dichiarazioni di guerra. A uscirne scosso è il buon nome e la tanto famigerata capacità seduttiva dei nostri ufficiali.
Fatto è che il tema di quanto «facili prede» di donne straniere siano i nostri ufficiali durante la Prima guerra mondiale diviene spunto di analisi al Servizio informazioni del Comando supremo, così come all’Ufficio centrale d’investigazione. Finiscono nel mirino del controspionaggio alcune nobildonne di nascita austro-tedesca, per lo più divenute mogli di ufficiali italiani: è il caso della contessa Elisabetta Margherita, detta Keta, considerata la più pericolosa per il numero di prede e definita dalla prefettura di Roma «di dubbia fama morale». Moglie del capitano di vascello Piero Orsini, comandante della nave di battaglia Conte di Cavour, ha modo di fare danni sino all’inizio del 1918, seducendo il fior fiore degli stati maggiori italiani: «Nel romano Hotel Bristol di piazza Barberini, dove scende di frequente e per lunghi periodi, la Orsini intrattiene relazioni amorose con diversi ufficiali italiani e anche con qualche politico. Da un’informativa del maggio 1917 dell’Ufficio centrale d’investigazione diretta alla sezione “R” del Servizio d’informazioni si avvertiva fra l’altro che la Orsini aveva talvolta ricevuto visite al Bristol anche dal ministro della Marina ammiraglio Camillo Corsi, dal sottosegretario alla Marina onorevole Battaglieri, dal neo generale Pietro Badoglio», si legge in una nota del Ministero dell’Interno del 1918 riportata anche dallo storico Giovanni D’Angelo in un libro del 2009.
Nonostante la cinquantina passata, per passione o per spirito patriottico, l’austriaca Eleonora Gormasz, cognata del generale Pollio, il capo di Stato maggiore morto nel 1914, attira alti ufficiali nelle suites dei grandi alberghi romani, per carpire qualche buon segreto militare. La situazione diviene talmente insostenibile da spingere gli inquirenti a porre agli arresti la nobildonna.
Nella Roma pullulante di spie del biennio 1916-17, grande attività è profusa dall’Ufficio centrale d’investigazione (dipendente dalla Pubblica sicurezza). I circostanziati pedinamenti degli agenti del Commissariato Borgo, ai danni di numerosi prelati austro-germanici residenti in Vaticano, spesso si concludevano in case di tolleranza per dare sfogo ai piaceri della carne. Gli agenti del controspionaggio potevano contare sulle confidenze raccolte da numerose prostitute spesso mosse da sincero patriottismo. Più elegante il comportamento del monsignor Rudolph Gerlach, sospetta spia per eccellenza e cameriere segreto del Papa, che aveva un’amante fissa con appartamento nei pressi di piazza del Popolo. Anche l’asso dell’intelligence della 6ª Armata, Pettorelli Lalatta, si avvale di una prostituta trentina intercettata per raccogliere copiose informazioni, essendo costei al contempo amante di un ufficiale austriaco e di un prete, spia in Italia dell’Evidenzbureau.
Si comprende quindi come mai le case di tolleranza abbiano continuato a prosperare quale strumento per la raccolta di informazioni tra i militari, i diplomatici e quant’altri potessero essere vettori di segreti di Stato, nonostante tutti i richiami alla circospezione con cui i vari organi di controspionaggio, in presenza di avventure passeggere o amori mercenari, allertavano i militari. Alcune case di tolleranza sarebbero state vere e proprie «aziende» per la raccolta di notizie, e in alcuni casi persino diretta emanazione dei servizi segreti.
È famosa la vicenda del bordello berlinese Salon Kitty, gestito dalla fine degli anni Trenta dall’Sds nazista. Tra le vittime illustri del Salon Kitty, vi sarebbe stato anche il ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano, che inavvedutamente avrebbe dichiarato alla compagna di una notte la propria disistima per il Führer. Per quanto riguarda il Sim - Servizio informazioni militare - vi è negli Trenta il solo caso circostanziato del Bar Jolanda a Sanremo (che funge anche da caffè concerto), gestito dall’amante del capo Centro Cs di Torino, maggiore Roberto Navale, lo stesso che ingaggiò gli uomini della «Cagoule» - organizzazione terroristica di estrema destra francese - per numerose operazioni coperte in Francia (i cagoulards in esilio dopo il 1937 risiedono proprio nella località ligure).
Durante la Seconda guerra mondiale torna il problema delle fughe di notizie, spesso tra le lenzuola di amori passeggeri. A impensierire inizialmente il Sim è il Deuxième Bureau francese, che si specializza nel circuire gli ufficiali della Regia marina: dal 1932 al 1939 l’austriaca Margit Gross, già moglie di un ufficiale di Marina, opera quale agente francese. Non più giovanissima ma ancora affascinante, la Gross alterna la frequentazione di alti ufficiali delle basi di La Spezia e Genova ai giovani allievi dell’Accademia di Livorno. Grande seduttrice, è in grado di rifornire Parigi di informazioni preziose sulle nostre flotte. Scoperta nel 1940, evita il plotone d’esecuzione, iniziando una nuova carriera di doppiogiochista per il nostro controspionaggio. In tal modo la Gross permette lo smantellamento di un’intera rete francese, composta da oltre trenta informatori. Ancora nel 1943 la Mata Hari austriaca è sulla cresta dell’onda: la ritroviamo alla fine dell’anno in Svizzera, triangolando tra il Sim e l’Oss statunitense.
Il profilo dell’avventuriera al servizio delle varie agenzie di intelligence è incredibilmente ricorrente. Poco è importante quale sia il passaporto: ha oltrepassato la trentina, è elegante ed estroversa, è convinta che il proprio fascino la possa salvare sempre, ha viaggiato molto e conosce le lingue, ha un matrimonio in crisi alle spalle, porta interiormente i segni di abusi passati, ha figli piccoli e problemi economici grandi, può avere delle dipendenze dall’alcol o da sostanze psicotrope (spesso la morfina o l’oppio, più raramente la cocaina), può essere affetta da sifilide o altre malattie veneree, ha una vita sessuale promiscua, e non disdegna in alcuni casi l’amore mercenario, seduce gli anziani e sceglie spesso compagni più giovani, raramente agisce per ideali e molto più spesso per denaro.
Ma non c’è solo questo tipo di donne nella storia dell’intelligence italiana. La bella trentina Luisa Zeni per tre mesi nel 1915 opera a Innsbruck con lo pseudonimo di Josephine Müller e fornisce informazioni preziosissime sulle truppe austriache in movimento. Catturata, riesce a mettersi in salvo e rientrare in Italia, dove ottiene una medaglia d’argento.
Durante la Seconda guerra mondiale non mancano altre donne coraggiose.
Forse la vicenda più interessante è quella dell’«Allevamento volpi argentate», organizzazione operante per conto della Rsi e guidata da Tommaso David, ma tutta composta da donne che venivano spedite dietro le linee angloamericane. Anche al Sud il Sim operante a stretto contatto con Oss e Sis fa ampio uso di agenti femminili, spinte dall’ideale di una nuova Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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