Il governo ignora l’alt di Bankitalia «Tiriamo diritto»

Il ministro Damiano: «Lo scalone previdenziale previsto dalla legge Maroni va cambiato, anche se con un percorso graduale E la legge Biagi va corretta»

Il governo ignora l’alt di Bankitalia «Tiriamo diritto»

da Roma

Sulla riforma delle pensioni il governo non intende seguire le indicazioni del governatore di Bankitalia. Lo «scalone» non sarà mantenuto, così come suggerisce Mario Draghi. Mentre la legge Dini sarà confermata, anche se i coefficienti di trasformazione saranno cambiati. Lo stop al richiamo di via Nazionale è del ministro del Lavoro Cesare Damiano. Che conferma l’intenzione di andare avanti, oltre che sulla previdenza, anche sulle modifiche alla legge Biagi e su una limitazione dei contratti a tempo.
Il richiamo di Draghi sulle pensioni complica la ripresa della concertazione?
«Dopo la conclusione del contratto dei dipendenti pubblici, che giudico positivamente, il governo continua il cammino della concertazione. Quindi si riapriranno i tavoli che dovranno affrontare i temi delle tutele, cioè degli ammortizzatori sociali, del mercato del lavoro, della previdenza e della competitività. E naturalmente confermiamo l’obiettivo di una conclusione entro il mese di giugno. In modo tale che non ci sia una commistione tra la conclusione dei tavoli di concertazione e l'inizio della discussione sul Documento di programmazione economica e finanziaria».
Però il dibattito sulla previdenza si è riaperto. E la sinistra radicale è tornata a dire no anche a un innalzamento graduale dell’età pensionabile...
«Noi partiamo dal punto che abbiamo illustrato negli appuntamenti precedenti. Io insisto nel ricordare che le relazioni ai tavoli della concertazione sono scritte e rappresentano un punto di vista organico del governo su tutti questi argomenti. Di lì ripartiamo».
Il richiamo di Draghi è chiaro e non è compatibile con i vostri piani, visto che il governatore chiede di mantenere la legge Dini e lo scalone della riforma Maroni. Ne terrete conto?
«Per quando mi riguarda, se il governatore ritiene che mantenere la legislazione esistente significhi non modificare lo scalone e applicare la Dini, dico che sul primo punto non sono d’accordo. Perché lo scalone che costringerà le persone ad andare in pensione dal primo gennaio 2008 a 60 anni con 35 di contributi, per me va cambiato con un percorso più graduale. L’applicazione della Dini, invece, è un nostro obiettivo. Naturalmente sui coefficienti abbiamo proposto alle parti sociali di aprire un confronto».
Quando prevede per la convocazione dei tavoli, visto che volete precedere il Dpef non c’è tanto tempo?
«Convocheremo i tavoli in accordo con Palazzo Chigi, in tempi non lunghi».
Non c’è il rischio che i tavoli siano condizionati dagli equilibri politici. Ad esempio, che si cerchi di accontentare la sinistra radicale calcando la mano su pensioni e legge Biagi?
«Io parto sempre da considerazioni oggettive. Le risorse a disposizione rappresentano un vincolo. Vedremo i conti di giugno: nel caso in cui le cose dovessero migliorare potremmo avere più risorse. Altre potrebbero arrivare dalla razionalizzazione degli enti previdenziali. Di lì si parte. E naturalmente le azioni di miglioramento dovranno essere scelte. Noi abbiamo le priorità fondamentali, come governo, ribadite da Prodi. La prima innalzare le pensioni in essere a partire da quelle più basse e la seconda quella di misure per i giovani».
Sulla legge Biagi non è una questione di risorse, ma potreste scontentare le aziende.
«Quando si fa la concertazione si affrontano temi sempre molto delicati, sui quali possono esistere opinioni del tutto difformi tra le parti sociali. Il governo ha già avanzato proposte che riguardano ad esempio la correzione del contratto a termine, nel senso di impedirne una ripetizione all’infinito o prevedendo per i lavoratori una sorta di diritto di prelazione quando si presentino assunzioni a tempo indeterminato a parità di mansione. Abbiamo indicato l’esigenza di una migliore conciliazione del part time, dei tempi di vita e del lavoro. Poi rimane il nostro obiettivo di cancellare le forme di lavoro più precarizzanti, come lo staff leasing e il lavoro a chiamata».
Pensa che l’accordo sugli statali aprirà la strada ad una riforma della contrattazione anche nel privato, magari con un rafforzamento del secondo livello?
«Come governo abbiamo avanzato proposte che hanno l’obiettivo di ampliare la contrattazione aziendale o territoriale attraverso ulteriori incentivi al salario di produttività. La strada da percorrere è tanta, ma sono abbastanza ottimista».
Pensa che alle elezioni abbiano pesato temi che le riguardano?
«Sicuramente il risultato è la testimonianza di un malessere che esiste anche perché abbiamo ereditato una situazione, sotto il profilo del lavoro, abbastanza compromessa e di non facile soluzione. Penso che in futuro si apprezzeranno i passi in avanti che abbiamo compiuto, ma questo avverrà con una certa gradualità. Adesso il nostro obiettivo deve essere quello di concludere la concertazione».
Draghi non ha fatto cenno alla moderazione salariale, mentre la Bce la chiede.

Cosa significa?
«Che in Italia ci sia una sofferenza salariale mi pare evidente. Quindi è probabile che il mancato richiamo non sia casuale. C’è un problema di recupero del potere di acquisto. È un problema che viene da lontano, ma è parte del disagio che abbiamo avvertito».

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