La lezione berlusconiana sul "fisco amico" e l'ossessione della sinistra per gli evasori

Molti osservatori di vari giornali anti-governativi hanno associato "Giorgia Meloni e la strategia berlusconiana del fisco amico" ma hanno mostrato, ancora una volta, di non aver compreso il cuore di questa strategia

La lezione berlusconiana sul "fisco amico" e l'ossessione della sinistra per gli evasori
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Molti osservatori di vari giornali anti-governativi hanno associato «Giorgia Meloni e la strategia berlusconiana del fisco amico» ma hanno mostrato, ancora una volta, di non aver compreso il cuore di questa strategia. Infatti i commentatori, ormai storicamente, hanno posto l'accento su una presunta allergia alle regole, così come l'indulgenza verso Berlusconi, per esempio, a loro dire fu un'indulgenza verso se stessi e verso una sostanziale impunità - sua - che tanti italiani speravano fosse anche loro. Per dirla malissimo: a suo tempo perdonarono Berlusconi, evasore, perché erano degli evasori. Ora: qualsiasi analista dei dati, o studioso dei flussi elettorali, demolirebbe lo schema e spiegherebbe che l'evasione purtroppo è diffusa a destra come a sinistra, e che, in ogni caso, i pur numerosi frodatori italiani non basterebbero a giustificare la mole di voti che il Cavaliere prese e che Giorgia Meloni ha pure ricevuto: si parla, ovviamente, di frodatori seri. Gli stessi studiosi - di destra come di sinistra, beninteso - non avrebbero difficoltà a spiegare che a suo tempo un processo di identificazione tuttavia vi fu, e che è da sempre alla base del successo berlusconiano e ora del centrodestra in generale: non è quello tra un popolo e un leader impunito, ma tra un popolo e un leader «vittima». La spiegazione, tornando al messaggio con cui Berlusconi sbaragliò la concorrenza trent'anni fa (e che in parte si ritrova nella filosofia del «fisco amico») riposa su una serie di messaggi che appunto il Cavaliere lanciò al suo «popolo» sin dagli esordi in politica: non un rivolgersi agli italiani come a un popolo da correggere in quanto naturalmente evasore, o avido o sprovvisto di senso civico, ma come a un popolo costretto a fronteggiare leggi e fiscalità punitive, astruse, irragionevoli e indecifrabili. Nei discorsi di Berlusconi come nella filosofia del «fisco amico» non troverete mai apologie di reato o vere giustificazioni dell'evasione fiscale: ma quantomeno l'ammissione che abbassare le tasse e migliorare le norme forse aiuterebbe gli italiani a pagare il giusto - e a fare un po' cassa, se non dispiace. È un discorso che può convincere o meno, ma che durante il Tax day berlusconiano del 1999, per esempio, tracciò un solco: «Promettono di ridurre la pressione fiscale, ma la promessa è legata a un possibile decremento dell'evasione: hanno capovolto il problema. Noi abbiamo sempre detto che le aliquote del fisco italiano, che non si fida dei contribuenti, sono fissate pensando che i contribuenti denuncino solo metà del loro reddito. E allora lo Stato, partendo da questa considerazione di sfiducia, che cosa fa? Impone aliquote elevatissime, pensando: ti tasso il doppio perché tu denunci la metà».

Forse gli italiani - questo il messaggio sempre attuale, benché ridotto a luogo comune - rispetteranno le leggi quando le leggi rispetteranno loro, e, nondimeno, quando le tasse pagate garantiranno dei servizi degni di questo nome; non hanno bisogno, gli italiani, di essere raddrizzati, sorvegliati e puniti.

L'identificazione con le «vittime» prosegue anche nell'individuazione del nemico: cioè lo Stato protervo, diffidente, sopraffattore, oppressore, un sordo potere pubblico che nel caso di Berlusconi prese anche le forme della magistratura o di una parte di essa, ma che nel caso di Giorgia Meloni assume soltanto le sembianze di chi ha imparato la sua lezione.

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