
I governi e i partiti tradizionali che hanno governato il continente europeo negli ultimi trent’anni, sono dinanzi ad una irreversibile crisi politico-parlamentare. La caduta del ceto medio - colonna portante dei grandi partiti di massa europei - a seguito delle grandi rivoluzioni della globalizzazione ha spinto per un radicale cambiamento nelle rappresentanze politiche delle nostre democrazie liberali. L’instabilità dei governi, le deboli maggioranze parlamentari ma soprattutto la mancanza di leader in grado di avere una visione sul futuro (sempre più a Oriente) hanno consentito all’Italia di assumere un ruolo di osservato speciale. Questo ruolo, lo si deve prima di tutto alla costruzione di una leadership da parte del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Attenzione però, ha gettato le basi e la strada è ancora lunga, perché come insegnava Henry Kissinger per avere una leadership servono: realismo, visione, carisma e coraggio. L’indirizzo dato da Meloni - che proveniva da anni di opposizione, da posizioni sovraniste, da una cultura politica legata alla destra romana post-missina - alla sua linea politico-governativa ha aperto la strada ad una “terza via”: un “euro-conservatorismo all’italiana” capace di coniugare istanze identitarie con la necessità di una società aperta alle relazioni e ai mercati internazionali. Ma analizziamo le basi di questa “terza via”.
Primo: l’unità della coalizione. Raccogliendo l’eredità di Silvio Berlusconi, Meloni ha proseguito nel tenere insieme un’alleanza che riesce a unire posizioni più diverse bilanciate dal centro di Forza Italia. Tale unità, un unicum nel panorama europeo, al di là delle fisiologiche divergenze, garantisce anche una stabilità nella maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo.
Secondo: conti pubblici in ordine. Con un debito pubblico oltre i 3000 miliardi di euro, e l’ultima follia del Superbonus voluto dal governo Conte II e costato circa 150 miliardi di euro, la linea di Meloni e Giorgetti è stata quella della «moderazione» (Lamberto Dini). E il lavoro è stato premiato, tanto che l’agenzia Fitch ha alzato il rating dell’Italia a “BBB+”. Nel breve periodo gli analisti prevedono una riduzione del deficit dal 3,1% al 2,6% nel 2027 e un rapporto spesa/PIL che dovrebbe arrivare al 49%. Restano però il problema della crescita del PIL e di una riforma dell’IRPEF.
Terzo: lotta all’immigrazione. Citando numeri del Viminale, se nel 2023 gli sbarchi erano stati 132.907, nel biennio 2024-2025 sono passati a 47.456 e 49.438. A ciò si aggiungono i rapporti bilaterali con i Paesi del Nord Africa per fermare le partenze, il progetto dei cpr in Albania e ora in Italia, l’approvazione del decreto sicurezza n. 80/2025 per facilitare gli sgomberi degli occupanti abusivi, insomma il messaggio è passato: finita la stagione dell’accoglienza incondizionata.
Quarto: la politica estera. Quello che all’inizio sembrava un enorme punto di debolezza si è trasformato in un punto di forza. Archiviate posizioni come l’uscita dall’Euro o una certa antipatia post-missina verso l’imperialismo americano, Meloni ha saputo dialogare sia con Biden sia con Trump mantenendo l’Italia saldamente nell’Alleanza Atlantica in una guerra tra Russia e Ucraina ancora lontana dal chiudersi con una via diplomatica. Medesima posizione di dialogo è stata intrapresa anche con le istituzioni europee, creando un canale privilegiato con la presidente Von der Leyen e soprattutto portando Raffaele Fitto a far parte della Commissione europea senza l’ECR essere parte della maggioranza al parlamento di Strasburgo. Un obiettivo chiaro che sancisce la volontà di cambiare l’Europa non dall’esterno (la piazza) ma dall’interno (palazzo e realpolitik).
Infine, il conflitto in Medio Oriente. Mentre gran parte dei Paesi europei hanno annunciato di riconoscere lo Stato della Palestina e lisciato il pelo alle manifestazioni ProPal, il presidente Meloni ha tracciato la via più equilibrata: riconoscimento dello Stato palestinese previa liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e l’esclusione del gruppo terroristico Hamas da qualsiasi dinamica di governo.
In tutto ciò, c’è la visione di un’Italia protagonista nello scacchiere internazionale, ed esempio di
laboratorio politico e stabilità governativa; pur mancando ancora una legislatura di riforme strutturali che solo al loro compimento potranno dirci se quella di Meloni è davvero una leadership e se si è aperta una “terza via”.