Urso: "Ilva è in grave crisi produttiva, bisogna fermare subito il declino"

Il Ministro dello sviluppo rispondendo a una interrogazione di Italia Viva ammette che bisogna intervenire su Ilva. Uilm: "ma non dice come"

Urso: "Ilva è in grave crisi produttiva, bisogna fermare subito il declino"

"La situazione attuale è di forte difficoltà finanziaria e di grave situazione produttiva”. Lo si sa da tempo, da anni. E ora lo dice anche Adolfo Urso, ministro dello sviluppo del governo Meloni rispondendo in Senato a una interrogazione di Italia Viva, in cui si affermava: "Gli impianti siderurgici di Ilva rappresentano un interesse strategico nazionale: chiediamo pertanto al Ministro quali iniziative intenda assumere al fine di garantire il proseguimento del percorso avviato nel 2015 per rilanciarne la produzione".

Eppure proprio ieri il sottosegretario all’ambiente Barbaro in commissione diceva che invece dal punto di vista ambientale lo stabilimento è in regola sia con i limiti emissivi che con le prescrizioni imposte dal piano ambientale. Mentre il ministero della salute è in dirittura d’arrivo per la redazione della Valutazione preventiva di impatto sanitario rispetto alle prescrizioni attuate. Insomma Ilva oggi può produrre fino a 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno senza rischi per ambiente e salute, e invece è ferma a 3. “Mentre nel 2006 ne produceva 10 - dice Urso in Senato - Se non fermiamo questa deriva è la fine dello stabilimento, e sarebbe un disastro perché è fondamentale per il nostro Paese”.

Ma perché è fermo? Perché non ha liquidità per pagare i fornitori, le materie prime, l’energia. E le aziende di stato che la forniscono, Eni e Snam, hanno interrotto le forniture. Mentre ArcelorMittal ha investito oltre un miliardo di euro proprio per adempiere alle prescrizioni del piano ambientale, lo stato non ha fatto altrettanto.

La scorsa legislatura, con un fuoco incrociato Pd-5Stelle, ha fermato in Senato un articolo voluto da Draghi per immettere un po' di liquidità. Poi l’allora presidente del Consiglio ha inserito un miliardo per Ilva nel decreto aiuto bis, dopo un tavolo al Mise in cui Giancarlo Giorgetti aveva fatto questa promessa ai sindacati. Ma da luglio quel miliardo non è mai arrivato in azienda.

Urso appena entrato al ministero ha incontrato Emiliano e il sindaco di Taranto, che soddisfatti all'uscita hanno detto che erano d’accordo nel nazionalizzare l’azienda. Poi è successo qualcosa e Urso ha cambiato idea. 'Ilva non sarà nazionalizzata”, ha detto ieri in Senato, spegnendo gli entusiasmi degli amministratori locali del Pd, già pronti a mettere le loro pedine nel cda.

Ma il decreto aiuti bis prevede che quel miliardo debba essere utilizzato per finanziamento soci entro il 2022. “Lo Stato non può essere un bancomat e non può dare risorse senza un chiaro piano industriale. Non accettiamo il declino, non nazionalizzeremo l'Ilva, ma serve un piano industriale che guardi al futuro della siderurgia italiana”, ha ribadito il ministro.

Ma perchè serve un paino industriale, se gia c'è? L'ultimo infatti è stato presentato durante il governo Conte bis a dicembre 2020 dall'allora ad di Invitalia Arcuri. Si tratta di 6 milioni di tonnellate con 3 altoforni e un forno elettrico. Ma serve riavviare Afo5. Nel frattempo l'allora ministro del lavoro Andrea Orlando ha messo 3 mila operai in cassa integrazione per un anno.

Perchè allora il piano industriale dal 2020 non è ancora partito?

Se lo chiede anche Rocco Palombella, segretario della Uilm: “La gravità del momento, oltre ad essere dovuta a problemi finanziari, è legata alla mancanza di chiarezza da parte del Governo. Nel giro di dieci giorni abbiamo sentito dichiarazioni e smentite continue del ministro Urso, tutto e il suo contrario”.

“A cosa sta pensando realmente il Governo? - chiede Palombella- Qual è il suo progetto industriale? Dopo l’ennesimo rinvio del consiglio dei soci di Acciaierie d’Italia cosa vuole fare realmente? Vuole dare il miliardo senza modificare la governance? Lo dicesse con chiarezza, assicuri i lavoratori e le comunità interessate. La cosa intollerabile è l’incertezza che regna sovrana. È possibile che nell’arco di due anni siamo al quarto contratto, all’ennesima rinegoziazione a perdere, peraltro senza conoscerne pubblicamente i contenuti di quelli successivi al 2018"

L'accordo di Conte con ArcelorMittal infatti non è mai stato reso pubblico.

Anche la capogruppo di Italia Viva Raffalla Paita nella replica alla risposta di Urso chiede a questo punto se c'è un nuovo piano industriale: "Siamo consci della situazione di difficoltà, nessuno di noi vi chiede la bacchetta magica, ma oltre alla preoccupazione mi sarei aspettata almeno l'indicazione di una strategia sull'acciaio. Non siamo soddisfatti della sua risposta.

Un Paese senza una grande industria sull'acciaio non è competitivo a livello di politica industriale, si parla di migliaia di posti di lavoro e serve anche una strategia di risanamento ambientale compatibile con la necessità di mantenere forte questo asset senza cedere a demagogie dannose come negli scorsi anni".

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