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"La guerra è una diga che sommerge tutto ciò che ha intorno"

L'autore belga ha scritto il canto d'amore e di dolore di un vecchio poeta siriano

"La guerra è una diga che sommerge tutto ciò che ha intorno"

Mahmoud o l'innalzamento delle acque (Neri Pozza, pagg. 140, euro 17; traduzione di Stefania Ricciardi) di Antoine Wauters è il canto d'amore e di dolore che il protagonista Mahmoud Elmachi, poeta siriano, intona ogni giorno mentre esce con la sua barchetta sul lago al-Assad: è solo, «un vecchio pazzo», che ha perso tutto a causa della dittatura, della povertà e della guerra, e si rivolge a Sarah, la moglie morta, come morti sono i loro tre figli (andati a combattere per il sogno di una Siria libera) e come erano già morte, in precedenza, la prima moglie Leila e la figlia piccola. L'autore, nato in Belgio nel 1981, è stato premiato per Nos Mères, il romanzo d'esordio sul conflitto in Libano; nel 2022 ha vinto il Goncourt per il miglior racconto con Musée des contradictions. E Mahmoud o l'innalzamento delle acque è un piccolo caso letterario: scritto in versi liberi, questo romanzo/poema ha avuto grande successo in Francia e vinto una decina di premi.

Antoine Wauters, lei ha origini mediorientali?

«Mi piacerebbe. No, sono nato in un piccolo villaggio belga, e per tutta l'infanzia sono stato ossessionato dall'area mediorientale e dai suoi conflitti. Poi, quando ho iniziato a viaggiare e a scoprire questa regione e a leggerne la letteratura, questa mia passione è esplosa».

Come è nata l'idea del libro, questo immergersi di Mahmoud nelle acque del lago e nella storia della Siria?

«All'inizio c'era la curiosità di capire che cosa stesse succedendo in Siria dal 2011 e dalla Primavera araba; poi ho concentrato le mie ricerche sul lago al-Assad e la diga di Taqba, sul fiume Eufrate».

Perché un poeta per protagonista?

«Ho visto un documentario di Omar Amiralay sulla storia della diga di Taqba e mi ha colpito l'immagine di un uomo anziano, seduto su una barca, che raccontava come, negli anni '70, Hafez al-Assad, il padre di Bashar, avesse fatto costruire quella diga, che ha sommerso tutti i villaggi della zona. Così ho deciso di raccontare questa storia che, a sua volta, racconta la guerra: perché la guerra, come la diga, distrugge tutto ciò che ha intorno, le vite, il passato, il presente e il futuro».

Come nasce la struttura, in forma di poema?

«Molto naturalmente. Ho sempre voluto scrivere poesia e ho sempre scritto prosa sotto forma di poesia. Una volta che avevo in testa tutto, dati, fatti, eventi storici, il numero dei morti, ho deciso di trasformarli in un libro. E ho pensato che questo movimento del poema ricordasse il tremore della guerra da un lato e, dall'altro, quello dell'acqua e delle onde; e che potesse essere interessante per ciascuno leggerlo col proprio ritmo, magari lentamente, o ad alta voce. Per me, l'uso del verso libero è la struttura che permette a tutte le parole di avere il loro giusto peso».

Mahmoud dice: «Non dimentico nulla». Perché la memoria è così importante nel libro?

«Nei regimi dittatoriali, ma anche nelle nostre democrazie occidentali, noi vediamo ciò che vogliono che vediamo: abbiamo un accesso ristretto a una parte della realtà, quella consentita dal regime. Ovviamente nelle dittature questo controllo è più forte: il regime siriano mostra la storia ufficiale, fa vedere ciò che vuole. Il personaggio di Mahmoud è un personaggio che resiste, in modo pacifico: si immerge per ritrovare quelle parti della storia nascoste dal potere dittatoriale. E propone una controstoria a 360 gradi, fatta di dramma, violenza e lutto, ma non solo: è un uomo che ha sofferto ma ha anche vissuto, ha amato, ha fatto l'insegnante, e ha perso molto. È nostro fratello».

Come avviene questa immersione?

«Tramite la sua lampada, come i sub, fa luce su quella che è la storia invisibile della Siria, che il regime nasconde e che piano piano finisce nell'oblio. È quello che facciamo noi artisti, poeti, scrittori e giornalisti: come Mahmoud con la sua torcia, usiamo la penna, l'inchiostro, i video o le fotografie per fare luce sulla storia».

Mamhmoud dice che la letteratura non serve a nulla, eppure continua a cantare i suoi versi all'amata Sarah.

«Ho voluto lasciare un'ambiguità. In periodi di forte dolore e violenza la letteratura non risolve i problemi, non riporta in vita chi è morto; ma Mahmoud vive per questo, per testimoniare attraverso il suo racconto. La sua barca è un'arca di Noè su cui sta l'umanità: e, finché un uomo sarà su questa barca, ci saranno fede e speranza nel futuro».

«La poesia serve a imprigionare la prigione»: è così?

«Sono versi di Faraj Bayrakdar, un poeta siriano esiliato in Svezia, che nel periodo di Hafez al-Assad è stato a lungo in prigione e ha subito torture atroci: quando era a Palmira scriveva le sue poesie nella polvere della cella e usava i resti di thè per comporre sui muri, e questo lo ha aiutato a sopravvivere. La poesia ha questo ruolo nei periodi bui: è l'ultimo alimento a nutrire l'uomo».

E oggi?

«Oggi è necessario combattere per mantenere una lingua libera: i dittatori si accaniscono contro i poeti perché hanno paura di una parola e di una lingua libera. Individuare questa parola nella realtà e nei discorsi è una sfida educativa e, insieme, un grande regalo per i nostri figli».

Libertà individuale e libertà collettiva possono incontrarsi?

«Secondo Mahmoud, quando ci si muove per la libertà collettiva si va verso una tenda funeraria, e il desiderio di libertà ne è distrutto. La sfida è armonizzarle, ma temo sia una chimera».

Come si spiega il successo del poema, molto diverso dai libri da classifica?

«Per me è facile, perché quello che racconto è qualcosa di presente e di vivo. Le persone capiscono se chi hanno di fronte non mente, e quello che racconta Mahmoud è qualcosa che conosco e ho vissuto: il rapporto con la perdita, il dolore e la mancanza. Quanto alla difficoltà della poesia, penso che più che altro ci sia un po' di timore di fronte al verso libero, perché non siamo più abituati: molti, però, mi hanno detto che è qualcosa che riguarda solo le prime due o tre pagine...»

Non parla solo Mahmoud, parla anche Sarah, la donna amata. E prende un po' in giro questo poeta tragico e solo...

«Sì, per me era importante che non parlasse soltanto lui: c'è questa idea che l'intellettuale sia qualcosa di intoccabile, fatto di materia nobile...

Invece Sarah lo conosce nei suoi aspetti divertenti e anche ridicoli, nelle sue ossessioni, come quella per gli occhiali da sole: è un gioco da coppia di vecchia data - malgrado loro, in realtà, non possano vedersi, perché lei è morta - in cui lei lo prende in giro, gli dice: sei patetico... Per me l'amore passa da qui, dalla capacità di vedere e ironizzare sui difetti dell'altro, e sui propri».

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