Il dissidente Ashkan: "Noi iraniani al fianco di Israele. La sinistra è complice degli ayatollah"

Fuggito da Teheran e residente in Italia dal 2015, Rostami esulta per l'attacco israeliano: "È una scintilla di speranza contro il regime. Il governo Meloni ha avuto coraggio, mi sento ascoltato"

Il dissidente Ashkan: "Noi iraniani al fianco di Israele. La sinistra è complice degli ayatollah"

Parla con la voce ruvida di chi non può più permettersi sfumature: bolla il raid israeliano come "legittima difesa" e chiede all'Occidente di scegliere, una volta per tutte, da che parte stare. O con la democrazia dello Stato ebraico o con il regime dell'Iran. Ashkan Rostami è un dissidente iraniano residente in Italia dal 2015: ha lasciato Teheran per sfuggire alle grinfie di un regime che considera "ideologico, apocalittico, repressivo". È membro del Partito costituzionale dell'Iran e del Consiglio di Transizione dell'Iran. E - intervistato da ilGiornale.it - mette nel mirino l'Europa "ipocrita" e la sinistra italiana, colpevoli di silenzi compiacenti e ambiguità. Mentre ringrazia il governo guidato da Giorgia Meloni per l'ascolto, riconoscendo al centrodestra il coraggio di aver rotto "un certo conformismo diplomatico".

Israele ha attaccato l’Iran. Sei preoccupato per l’ennesima escalation in Medio Oriente?

"Preoccupato? Sì, certo. Ma non nel senso in cui tanti commentatori occidentali intendono. Non temo Israele. Temo il regime islamico, che da decenni è la principale fonte di instabilità nella regione. Chi parla di escalation spesso dimentica da dove parte la minaccia: Teheran finanzia milizie terroristiche come Hezbollah e Hamas, arma i ribelli Houthi in Yemen, fomenta guerre per procura in Siria, in Iraq, in Libano. Senza contare la repressione sistematica che attua contro il suo stesso popolo. La Repubblica islamica non è un attore razionale in un sistema di equilibri geopolitici: è un regime ideologico, apocalittico, con ambizioni imperiali. Israele è l’unico Stato che ha il coraggio di reagire a questa minaccia in modo diretto. Quindi sì, sono preoccupato. Ma sono ancora più preoccupato da chi si ostina a equiparare aggressore e aggredito".

C’è chi ha già accusato lo Stato ebraico di aver violato il diritto internazionale…

"Sono le solite accuse rituali, spesso mosse da chi interpreta il diritto internazionale come una clava selettiva contro l’Occidente o Israele. Ma dove sono stati questi 'difensori del diritto' quando l’Iran ha lanciato missili su Erbil, ha fornito droni alla Russia per bombardare Kiev, o ha schiacciato nel sangue le rivolte popolari interne? Dov’erano quando Mahsa Amini veniva uccisa in una stazione di polizia morale o quando i manifestanti venivano impiccati in piazza? Il diritto internazionale è sacro solo se è universale. Ma quando viene usato per difendere regimi autoritari e per criminalizzare chi si difende, allora perde ogni credibilità. Israele ha colpito figure militari strategiche responsabili di crimini concreti. Ha agito per prevenire futuri attacchi. È legittima difesa, non aggressione".

Salami, Bagheri, Rashid, Shamkhani: il regime è stato colpito al cuore. La macchina della repressione sta per spegnersi definitivamente?

"No, non ancora. Il regime iraniano è un sistema tentacolare, radicato, con una burocrazia militare e religiosa vastissima. Ma non possiamo negare che questi colpi abbiano un impatto: sono ferite simboliche e operative. Non sono solo nomi su un organigramma: sono ingegneri della repressione, architetti del terrore, strateghi della guerra sporca. La loro eliminazione manda un messaggio preciso: nessuno è intoccabile. E questo crea nervosismo dentro il regime. È una crepa. E da ogni crepa può entrare la luce".

Parole forti, specialmente perché pronunciate da un iraniano. Non a caso sei un dissidente in esilio…

"Sì, sono parole forti. Ma quando hai vissuto sotto un regime come quello islamico in Iran, la neutralità è una forma di vigliaccheria. Io non posso permettermela. Non sono uno spettatore: sono parte in causa. Sono cresciuto in un Paese dove le libertà non esistono, dove pensare in modo diverso significa rischiare la galera, la tortura, o peggio. Oggi vivo in Europa, ma non ho dimenticato da dove vengo. E non posso stare zitto mentre vedo lo stesso regime che mi ha costretto all’esilio continuare a uccidere, mentire, reprimere. Essere un dissidente non è una posa intellettuale. È un peso quotidiano. E anche una responsabilità: quella di parlare chiaro, anche quando è scomodo".

E come giudichi il raid israeliano?

"Lo giudico per ciò che è: un’operazione chirurgica, mirata, necessaria. Non è stato un bombardamento indiscriminato. È stato un intervento puntuale contro vertici militari e di Intelligence coinvolti nella pianificazione di attacchi e nella repressione interna. Israele non ha mai dichiarato guerra al popolo iraniano. Al contrario, ha più volte espresso vicinanza e solidarietà verso gli iraniani liberi. Il bersaglio è il regime, non il Paese. E chi confonde le due cose, o è in malafede, o è totalmente ignorante della realtà iraniana".

Insomma, è una sorta di operazione di liberazione dalle grinfie degli ayatollah…

"Liberazione è una parola grossa, ma il concetto è corretto. Ogni volta che uno di questi boia cade, è come se si rompesse una catena. Per noi iraniani in esilio, ma anche per chi resiste dentro il Paese, ogni attacco al cuore del regime è una scintilla di speranza. I giovani, le donne, gli studenti: tutti quelli che hanno manifestato e pagato un prezzo altissimo sentono che qualcuno, da qualche parte, non si è dimenticato di loro. La vera liberazione avverrà solo quando gli iraniani potranno scegliere il proprio futuro senza paura. Ma questo tipo di interventi riduce la forza repressiva del regime. E quindi sì, sono un passo nella giusta direzione".

Donne, giovani, studenti e oppositori sono in festa: ora ci sono davvero spiragli per libertà e democrazia?

"Sì, ma serve coraggio. Serve coerenza da parte dell’Occidente. Il popolo iraniano ha già dimostrato di essere pronto: lo ha fatto nel 2009, nel 2017, nel 2019, e soprattutto nel 2022 con la rivoluzione di Mahsa. Ma ogni volta si è trovato solo, abbandonato, tradito. I governi occidentali hanno continuato a negoziare con Teheran, a stringere accordi nucleari, a fingere che si potesse “moderare” un regime fondato sul terrore. I giovani iraniani chiedono sostegno politico, morale, diplomatico. Vogliono sapere che chi si dice democratico, in Europa e in America, non considera il loro destino un fastidio collaterale".

Passiamo alla politica interna. Non ti fa un certo effetto vedere la sinistra italiana che, pur di attaccare Israele e il centrodestra, balbetta di fronte alla repressione e alle violazioni dei diritti umani in Iran?

"Mi fa indignare. Una parte della sinistra italiana è diventata schiava di uno schema ideologico arcaico: tutto ciò che si oppone all’Occidente è automaticamente “progressista”, anche se impicca i gay, opprime le donne e censura i libri. È una contraddizione intollerabile. Io provengo da sinistra, idealmente. Ma la sinistra che tace davanti al velo imposto con la forza, che chiude gli occhi sui dissidenti torturati, che giustifica Hamas come “resistenza” mentre massacra civili, non ha più nulla di progressista. È solo complice. Complice di regimi che fanno della violenza e dell’odio la loro unica identità".

Invece il governo Meloni ha una postura chiara: ti senti tutelato?

"Mi sento ascoltato, ed è già tanto. Il governo Meloni ha avuto il coraggio di rompere un certo conformismo diplomatico: ha difeso Israele apertamente, ha preso una posizione netta contro l’Iran, ha mostrato di voler proteggere le comunità ebraiche e i dissidenti. Non è questione di appartenenza politica. È questione di principio. Quando vedo ministri che condannano l’antisemitismo senza ambiguità, che denunciano le connivenze tra centri culturali islamici e ambasciate iraniane, capisco che qualcosa si sta muovendo. E come un futuro cittadino italiano di origine iraniana, non posso che riconoscerlo".

Nelle università e nelle piazze si respira un pessimo clima: l’antisemitismo ha rialzato la testa. Perché la sinistra presta il fianco ai pro-Pal?

"Perché ha smarrito la bussola morale. Perché ha confuso l’empatia con l’identitarismo. Essere solidali con i palestinesi non significa giustificare il terrorismo di Hamas, né permettere che nelle università si inneggi alla distruzione di Israele. L’antisemitismo moderno si traveste da “antisionismo”, ma è lo stesso odio antico. E la sinistra, purtroppo, spesso lo coccola.

Ho visto con i miei occhi studenti zittiti perché israeliani, docenti attaccati per aver espresso solidarietà a Israele, e cortei dove si bruciavano bandiere con la stella di Davide. Questa non è militanza politica. È odio puro. E chi lo tollera – anche solo per calcolo elettorale o ideologico – se ne rende complice".

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica