La linea degli Stati Uniti è chiara: la reazione di Israele all'attacco compiuto il 7 ottobre da Hamas non può essere altro che di tipo militare. Ma questa risposta non può trasformarsi in un pericolo per la stabilità regionale e deve essere condizionata ad alcuni caveat messi in chiaro da Washington coordinandosi con il resto dei partner locali. Il presidente Joe Biden lo ha testimoniato più volte anche con il viaggio in Israele.
Un blitz di poche ore che è servito al capo della Casa Bianca per rendere ancora più evidente, qualora non fossero bastate le visite del segretario di Stato Anthony Blinken e del capo del Pentagono Lloyd Austin, che gli Usa sono pienamente al fianco dello Stato ebraico, ma che questo sostegno politico e militare è garantito solo se Benjamin Netanyahu agisce secondo determinate linee guida.
Fra queste, oltre a evitare di colpire il più possibile aree civili e di lasciare passare aiuti umanitari a Gaza dal valico di Rafah, c'è anche (se non soprattutto) il monito sull'allargamento del conflitto oltre i confini della Striscia. Il rischio è reale e lo dimostrano le ultime fiammate provenienti dalla galassia sciita, quell'insieme di milizie legate all'Iran che disegnano un arco che va da Teheran alla Penisola araba. Una nave Usa che navigava nelle acque del Mar Rosso ha intercettato missili provenienti dallo Yemen e potenzialmente diretti verso Israele. Le basi americane in Iraq e Siria sono state oggetto di lanci di droni da autori ignoti ma che possono essere individuati nelle milizie filoiraniane che si muovono in territorio iracheno. A essere presa di mira è stata soprattutto la base aerea di Ain al-Asad, nell'Iraq occidentale. Ma sono giorni che si ripetono falsi allarmi e attacchi veri. Washington ha poi diramato un'allerta per tutti i viaggi in Medio Oriente, sottolineando in particolare di lasciare il prima possibile il Libano o, in caso contrario, di prepararsi a "situazioni di emergenza".
È proprio su questo fronte che gli Usa chiedono che la situazione non degeneri. Da settimane Washington sta lavorando con le controparti libanesi e con vari attori per premere su Hezbollah affinché eviti di colpire in territorio israeliano provocando una reazione da parte dello Stato ebraico che sposti la guerra direttamente nel Paese dei cedri. A Beirut in questi giorni c'è stata anche una delegazione del Congresso americano, a dimostrazione del grande interesse per la stabilizzazione del fronte nord di Israele.
L'amministrazione Biden sta anche premendo con il governo Netanyahu per scongiurare l'ipotesi di un attacco contro le milizie sciite in Libano. Lo rivela il New York Times, secondo cui sia il presidente americano che alti funzionari del suo governo hanno chiesto al gabinetto di sicurezza israeliano di non commettere l'errore di aprire il secondo fronte insieme a quello della Striscia di Gaza. Le portaerei Usa e le navi presenti tra Mar Rosso e Mediterraneo orientale confermano l'intenzione di Biden di proteggere Israele da qualsiasi attacco originato dalle milizie filoiraniane. Ma in caso di guerra con Hezbollah, come nel 2006, le cose potrebbero farsi molto più complicate, con il rischio che Iran e Stati Uniti si ritrovino a combattere direttamente.
Lo sforzo diplomatico Usa continua anche se le notizie che giungono dal fronte tra israeliani ed Hezbollah non induce all'ottimismo.
In questi giorni ci sono stati continui lanci di razzi da parte di Hezbollah, mentre Israele ha risposto con attacchi alle postazioni sciite ed evacuazioni delle aree di frontiera. Questa mattina, i media israeliani hanno dato la notizia della morte di un soldato israeliano della riserva ucciso in un attacco con un missile anticarro nell'area di Margaliot, nel nord del Paese. A essere ucciso è stato il sergente Omer Balva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.