Israele, Gaza e Lega araba: i nodi per la nascita dello stato palestinese

Paradossalmente israeliani e palestinesi hanno lo stesso destino se vogliono costruire un equilibrio di pace: destrutturare l’influenza dei fondamentalismi siano essi politici, religiosi od etnici

Israele, Gaza e Lega araba: i nodi per la nascita dello stato palestinese

Dopo l’accordo tra Hamas e il governo d’Israele, mediato da più attori internazionali insieme agli Usa, la nascita dello stato palestinese fa i conti con due questioni di fondo: una che viene dal passato e una che riguarderà il futuro. Entrambe impattano sul presente. Prima questione: la famosa risoluzione degli anni quaranta del secolo scorso ha già affermato il diritto alla nascita dello Stato palestinese purché a base democratica. Seconda questione: il ruolo attuale di Hamas sembrerebbe ostacolare la prima per due motivi principali ovverosia:

1) la Lega Araba, dopo anni di tentennamento, ha dichiarato che Hamas stesso deve abbandonare la lotta armata e porre fine al suo controllo sulla Striscia di Gaza;

2) dopo aver rilasciato gli ostaggi israeliani, tuttavia, non c’è stato altro e, invece, un rilancio della presenza di Hamas a Gaza sembra crescente unitamente al tentativo di nuovi arruolamenti tra le fila al-Qassam.

C’è, quindi, un problema di controllo di Gaza rispetto alla complessiva questione della nascita dello stato palestinese che comprenderebbe, insieme al territorio di cui sopra, la Cisgiordania seppure quest’ultima a macchia di leopardo (ad oggi, infatti, gli accordi di controllo delle aree con Israele sono basati su tre tipi di governo: misto, esclusivo per gli israeliani o per l’ANP a seconda del punto geografico di intesa).

Ma sul fronte israeliano non è molto semplice la tenuta dei patti: in primo luogo perché spinte fondamentaliste ci sono anche nel Governo attuale e quest’ultime vogliono che la Palestina non sorga mai; in secondo luogo perché non esiste una Costituzione nella democrazia israeliana insediatasi sempre a seguito della risoluzione n. 181/1947 delle Nazioni Unite. L’inesistenza di una Costituzione, stando al caso israeliano, può non sembrare un problema rispetto alla tenuta degli equilibri in Medioriente. Invece non è così: empiricamente è necessaria sul piano giuridico e sul piano politico.

Ad oggi Israele vive la dimensione democratica su leggi ritenute fondamentali, ma non costituzionali. Trattasi di un unicum internazionale considerandone la connotazione liberale e democratica idealmente basata sullo stato di diritto.

Una delle leggi fondamentali ritiene Israele come luogo di realizzazione per gli ebrei o meglio “patria del popolo ebraico” (legge del 2018). Cosa, quest’ultima, che pone di riflesso il come un non ebreo possa percepire inesistente il proprio diritto alla realizzazione senza una Costituzione che ne riconosca la dignità di bene immateriale inviolabile. Potremmo, quindi, definire che paradossalmente israeliani e palestinesi abbiano lo stesso destino se vogliono costruire un equilibrio di pace: destrutturare l’influenza dei fondamentalismi siano essi politici, religiosi od etnici. Tanto è raggiungibile partendo da un primo punto di condivisione: deliberare due costituzioni per i due stati o deliberane una sola che legittimi le due convivenze statuali.

In quest’ultimo caso non si tratterebbe di un accordo internazionale tra due stati perché la Palestina al momento non lo è: mancano i territori riconosciuti e manca il potere che affermi la sovranità. Mentre sui territori si può ovviare con una trattativa internazionale o bilaterale, di contro, affermare la sovranità implica ascendenza del potere sul proprio popolo. E tale elemento non è costitutivo, ma preordinato alla nascita dello stato stesso. Stando così le cose, è empirico che lo Stato di Palestina non riesca a nascere perché manca l’elemento di preordinazione alle tre caratteristiche essenziali che definiscano il sorgere di una entità statuale (costituita appunto da popolo, territorio, sovranità). L’ascendenza che esercita Hamas (se di tanto può parlarsi ovviamente) non è la stessa della Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania. La prima ha un braccio armato terroristico, la seconda è stata riconosciuta entità di governo (non sovrano) legittimo con gli accordi di Oslo. È per tali motivi che avere una Costituzione è necessario ed imprescindibile sia per i palestinesi che per gli israeliani. Una volta definiti i territori del confinante nonché il popolo altrui da rispettare, si può definire a chi e verso cosa esercitare l’ascendenza del potere che fa cristallizzare la sovranità.

Oggi sia Israele che Palestina vivono nella stessa incredibile situazione pur partendo da punti giuridici e politici diversi: Israele è una democrazia con sovranità statuale, ma non con omogena ascendenza del potere sui territori che ritiene propri (quelli della “terra di Giacobbe” per intenderci); la Palestina, invece, non è una democrazia compiuta, ma è un agglomerato tra Cisgiordania (in cui c’è una esperienza di affinamento per la nascita dello stato palestinese) e Gaza (soggiogata da Hamas). La soluzione di due popoli in due stati, quindi, potrebbe essere risolta o superata invertendo i fattori di discussione e/o valutazione iniziali. Invece di partire dal presupposto politico di accordi di pace o accordi raggiunti in sede internazionale, si potrebbe partire dal costruire una costituzione comune che legittimi due entità statuali con due nazioni.

Nel caso israelopalestinese, il presupposto giuridico (cioè una costituzione per entrambi dato che nessuno dei due soggetti interessati ne ha una) metterebbe ordine a quello politico costantemente in tensione e, a volte, in conflitto. E per Gerusalemme si comporrebbe una soluzione ardua, ma dirimente: un governo di concertazione religiosa, stile città del Vaticano, per garantire eguale adorazione e rispetto dei luoghi sacri per tutte le tre monoteiste presenti (primo elemento, quello religioso, di contrasto in tutta la vicenda storica). Ciò obbligherebbe fedeli, religiosi, credenti, cittadini a sterilizzare le spinte fondamentaliste interiori ed interne e ad avere enti di rappresentanza calmieranti le spinte di contrasto politico basate sul fondamentalismo.

Infine questa soluzione potrebbe portare le tre religioni a riconoscersi e legittimarsi, una volta per tutte, sul piano esistenziale così da eliminare nelle singole comunità qualsiasi animo d’odio verso qualsivoglia ritenuto infedele.

Quest’ultima sarebbe un’idea di massima, ma dalla quale si può aprire una discussione più ampia slacciandosi il tutto dalla storica questione dei due popoli in due stati non contestualizzata al giorno d’oggi.

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