"Pronti a colpire se non danno gli ostaggi": Israele fissa la data dell'attacco a Rafah

Tel Aviv ha posto come data limite l'inizio del prossimo Ramadan: se entro il 10 marzo prossimo non vi sarà alcun accordo sugli ostaggi rimasti, inizierà l'offensiva su Rafah

Studenti palestinesi protestano al valico di Rafah
Studenti palestinesi protestano al valico di Rafah
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Se il 7 ottobre Hamas colpiva a morte Israele in pieno Shabbat, il 10 marzo, data di inizio del Ramadan, potrebbe costituire l'inizio dell'offensiva finale di Israele su Rafah. L'operazione militare sulla città dell'omonimo valico andrà avanti come previsto a meno che non saranno rilasciati gli ostaggi israeliani ancora nella Striscia di Gaza entro l'inizio del mese sacro all'Islam. Lo ha dichiarato questa mattina il ministro del gabinetto di guerra di Israele, Benny Gantz, indicando, per la prima volta, una tempistica precisa.

Per Natanyahu "senza Rafah la guerra non può essere completata"

Il governo israeliano non aveva precedentemente indicato alcuna scadenza per il previsto assalto alla città, dove ha cercato rifugio la maggior parte degli 1,7 milioni di palestinesi sfollati. Temendo il rischio di vittime di massa, i governi stranieri e le organizzazioni umanitarie hanno ripetutamente esortato Israele a risparmiare Rafah, l'ultima grande città di Gaza non invasa dalle truppe di terra durante questi ultimi quattro mesi. Nonostante la crescente pressione internazionale, compreso un appello diretto del presidente americano Joe Biden, il primo ministro israeliano Netanyahu insiste nel sostenere che la guerra non può essere completata senza premere su Rafah. Gantz ha aggiunto che un'offensiva sarà condotta in modo coordinato e in dialogo con americani ed egiziani per facilitare l'evacuazione e "minimizzare il più possibile le vittime civili". Ma non è chiaro dove i civili possano trasferirsi in sicurezza nella Striscia di Gaza assediata.

La pressione internazionale per risparmiare Rafah

Mentre montano le certezze a Tel Aviv sul da farsi, cresce la pressione internazionale per sventare il piano israeliano. Nella giornata di sabato il presidente francese Emmanuel Macron e l'omologo egiziano Abdel Fattah al Sisi hanno espresso "la loro ferma opposizione" a un'offensiva israeliana a Rafah così come "a qualsiasi trasferimento forzato" dei palestinesi verso l'Egitto. È quanto concordato dai due capi di Stato nel corso di una conversazione telefonica avvenuta sabato scorso ma di cui l'Eliseo ha riferito solo nella giornata di ieri. Secondo la nota, un "trasferimento forzato" dei residenti nella Striscia di Gaza costituirebbe una violazione del diritto umanitario internazionale e porrebbe un ulteriore rischio di escalation regionale.

Non più tardi di una settimana fa si erano rincorsi a lungo i rumors relativi agli avvertimenti che il governo egiziano avrebbe inviato al vicino israeliano, tentando di dissuaderlo dall'operazione, minacciando addirittura di sospendere gli accordi di Pace del 1979. Un'eventualità poi smentita dallo stesso Egitto che, tuttavia, ribadisce che vi saranno conseguenze gravi qualora l'operazione dovesse avere inizio.

La data limite per l'assedio a Rafah e il cambio di passo sulla Spianata delle Moschee

Nonostante gli appelli moltiplicatesi in queste ore, dall'Europa agli Stati Uniti, sabato scorso il premier israeliano ha confermato in conferenza stampa che l'operazione a Rafah ci sarà, perché a suo dire non combattere a Rafah significherebbe perdere la guerra e lui non lascerà che succeda, ma ha precisato che l'operazione avrà luogo solo dopo l'evacuazione dei civili che si trovano in zone di combattimento.

Oltre al destino dei civili ammassati al confine con l'Egitto (oltre la metà dei 2,3 milioni di abitanti della Striscia, che vi si sono trasferiti a seguito degli ordini di evacuazione), ha fatto scalpore nelle ultime ore la decisione di Netanyahu di accettare la richiesta del ministro della Sicurezza nazionale e leader di estrema destra Itamar Ben Gvir di limitare l'accesso degli arabo-israeliani alla Spianata delle Moschee (il Monte del Tempio per gli ebrei) a Gerusalemme durante il Ramadan, nonostante il parere contrario dello Shin Bet. Alla luce della data del 10 marzo oggi indicata su tutti i media israeliani, il provvedimento assume un tono nettamente diverso alla luce delle intenzioni di Tel Aviv.

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