Guerra

"Il tempo stringe". L'Iran ha la bomba atomica? Cosa sappiamo

Israele potrebbe cogliere l'occasione per colpire e distruggere le ambizioni atomiche dell'Iran, ma nessuno vuole un'escalation, e Biden frena Netanyahu. I dossier sull'arricchimento dell'uranio di Teheran non sono un buon segnale

"Il tempo stringe". L'Iran ha la bomba atomica? Cosa sappiamo

Il programma nucleare dell'Iran non si è mai fermato e Teheran è ora vicina all'ottenimento della tanto agognata "arma atomica" degli Ayatollah? È quanto sostengono i falchi di guerra di Israele, nemico giurato della teocrazia islamica che dall'era dell'amministrazione Bush (figlio), rappresenta il punto cardine del cosiddetto "Asse del male". Un concetto che rivisita l'espressione reganiana nel post-Guerra fredda da quando il Medio Oriente è diventato il teatro di scontro numero uno, e il campo di battaglia della grande "lotta al terrorismo".

"Il tempo stringe" ma nessuno vuole un escalation

Per i ministri più oltranzisti della Knesset si tratterebbe di un "ora o mai più". E il mai più è riferito all'opzione di fermare - definitivamente - il programma nucleare iraniano che starebbe conducendo Teheran a una capacità nucleare offensiva. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu potrebbe anche concordare una visione in cui ".. il tempo stringe", nonostante in passato le avvisaglie di una guerra segreta atta a rallentare lo sforzo iraniano nel campo dell'energia nucleare e dello sviluppo del compartimento missilistico e spaziale non sono mancate.

Dall'uscita degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l'accordo sul nucleare firmato dal gruppo 5+1: Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania e l’Iran - era il 2018, altri tempi e potremmo anche dire un'altra era se si bada agli equilibri mondiali - la diplomazia internazionale ha sempre fallito nella missione di "fermare il programma nucleare dell’Iran" per impedire a Teheran di sviluppare armi atomiche che senza dubbio altererebbero gli equilibri di forza in Medio Oriente.

Per questo, secondo gli israeliani, che hanno sempre operato attivamente per fermare programmi nucleari degli avversari nella regione - dal bombardamento del sito iracheno Osiraq nell'Operazione Babilonia, agli attacchi hacker della cyberdivisione dell'Aman, l'Unità 8200 sospettata di aver colpito in passato i siti iraniani - ci si troverebbe di fronte all' "ultima finestra di tempo utile" per impedire all'Iran di diventare una potenza nucleare.

"Un’occasione del genere non si ripresenterà mai più" affermano i falchi di guerra israeliani, riferendosi all’attacco iraniano di sabato notte che ha previsto il lancio simultaneo di oltre 300 tra droni e missili contro il territorio dello Stato Ebraico. Attualmente non sono previste operazioni offensive di risposta, ha affermato il vertice delle forze di difesa israeliana Daniel Hagari. Complice la postura del principale alleato e garante di Israele: gli Stati Uniti che vogliono disinnescare ogni possibilità di escalation. Lo Stato Ebraico ha conseguito una "grande vittoria" attraverso il successo della difesa. "Coglila", avrebbe suggerito il presidente americano Joe Biden durante una telefonata con l'omologo israeliano per avviare il processo di de-escalation e quitare Tel Aviv. "L'Iran pagherà al momento giusto" ha aggiunto lo stesso Biden, rassicurando Netanyahu.

Fermare il programma con la forza

Il premier israeliano, largamente criticato dall'opposizione interna a Israele che continua a fare proseliti, potrebbe anche spingere affinché un’operazione "volta a distruggere le infrastrutture nucleari iraniane" come "legittima rappresaglia" venisse accettata e ordinata. Ma è impensabile credere che una simile azione offensiva - se portata da bombardieri o sabotatori riconducibili a Israele - non avrebbe conseguenze. E la conseguenza sarebbe appunto una escalation nel cuore del Medio Oriente con prospettive allarmanti per ogni alleato o partner militare delle due fazioni che hanno fatto chiara luce sulla lunga guerra sotterranea che stavano combattendo da decenni.

Gli Stati Uniti, ben consci della crisi che potrebbe causare un allargamento del conflitto tra le due potenze mediorientali, hanno schierato una delle loro portaerei nel Mar Rosso come "assicurazione" della presenza di Washington. Non si è fatta attendere l'invettiva di Teheran che ha minacciato di "colpire" anche basi americane nella regione, se necessario. Un'invettiva che attualmente lascia il tempo che trova, considerato il fallimento del 99% delle minacce lanciate dal'Iran nel grande attacco a Israele.

Il fallimento decennale della diplomazia

Nel passato un'intesa tra l'Iran e le altre grandi potenze del mondo che prevedeva l'accettazione da perte di Teheran di "severe limitazioni" alla sua capacità di arricchire l'uranio o qualunque materiale fissile che poteva essere impiegato per realizzare armi nucleari, era stata trovata. La contropartita ha sempre previsto la rimozione delle sanzioni internazionali che pesano sull'economia iraniana. Scelta che avrebbe provocato un distensione dei rapporti internazionali e, si suppone, una ripresa economica interna con un immediato riscontro da parte della popolazione iraniana che viene descritta, proprio in queste ore, in larga parte "contraria" all'ipotesi di un conflitto aperto con Israele.

Fu l'amministrazione Trump a ripristinare le sanzioni contro Teheran nel 2018 per poi intensificarle dal momento che non si erano assolutamente ottenuti i risultati sperati nel rallentamento del programma nucleare iraniano. Secondo gli osservatori internazionali Teheran aveva iniziato a "violare le regole" dell'accordo Jcpoa. La concatenazione di crisi internazionali, dall'epidemia di Covid-19 allo scoppio del confitto tra Russia e Ucraina, ha poi messo completamente in ombra il problema dell'arricchimento dell'uranio iraniano e delle sua capacità balistica, che adesso, dopo l'attacco per vendicare il raid israeliano di Damasco, torna a preoccupare la comunità internazionale. Ogni tentativo israeliano di "raccogliere il consenso per un’azione più incisiva" per frenare il programma nucleare iraniano non ha mai attratto sostenitori né è stato seguito con interesse dall'opinione pubblica internazionale. Almeno negli ultimi anni in cui le questioni mediorientali come la crisi israelo-palestinese era passata in secondo piano.

Una bomba atomica iraniana

L’Iran ha sempre affermato di "non avere intenzione di costruire armi nucleari", ma allo stesso tempo ha dichiarato di poter disporre di una quantità di uranio altamente arricchito adeguata allo sviluppo di "almeno tre bombe atomiche" in un tempo estremamente ridotto. Anche poche settimane. I vettori di lancio non mancherebbero, se scelti tra i missili balistici con maggiore portata della serie Shahab, o tra gli altri missili da crociera a medio raggio (Mrbm) "armabili" con testate nucleari. Ma qui entra in gioco la "balistica" e la vera complessità di avere nell'arsenale un'arma nucleare.

Secondo un'analisi pubblicata dal Washington Post, la Forza aerospaziale delle Guardie rivoluzionarie iraniane, in collaborazione con gli scienziati che hanno portato aventi il programma nell'ombra in tutti questi anni, potrebbe ottenere un ordigno nucleare "rudimentale" in circa sei mesi. Per produrre una testata nucleare trasportabile da un vettore missilistico a medio raggio - ovviamente senza alcun test di efficienza - ci vorrebbero due anni.

Un recente rapporto diffuso dall’Agenzia internazionale dell’Energia atomica (Aiea) aveva riscontrato già nel mese di dicembre 2023 un "pericoloso aumento della produzione di uranio altamente arricchito" che segnalava una concreta inversione di marcia rispetto alla precedente riduzione del livello di arricchimento ottemperata dall'Iran. L'uranio in questione sarebbe arricchito al 60% - nel settore civile il principale impiego dell'uranio U-235 per l'alimentazione dei reattori delle centrali elettronucleari si aggira tra il 2% e il 3% - e l'arricchimento che va dal 60% al 90%, che si ricorda essere il livello necessario per la produzione di un ordigno atomico, sembra dunque essere alla porta delle centrifughe iraniane in piena attività.

È indubbio che i risultati di una simile accelerazione del programma rappresentano il segnale di una minaccia crescente, e che una volta ottenuti, verrebbero con buon probabilità nascosti in siti irraggiungibili dall’Aviazione israeliana; si trattasse di combustibile, testate in via di sviluppo o bombe "sporche".

Tale capacità nelle mani degli ayatollah rappresenterebbe non solo un deterrente per ogni nuova azione nella regione, ma una vera e propria minaccia alla sicurezza di Israele, e non solo.

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