
In un clima geopolitico sempre più teso tra Est e Ovest, la NATO ha annunciato che la prossima settimana verranno condotti test operativi su tre soluzioni anti-droni in vari Paesi europei, sia lungo il fronte orientale che in quello occidentale. “Oggi alla NATO stiamo testando tre soluzioni. Il test avverrà la prossima settimana e poi potremo dire agli alleati: questa sembra una soluzione funzionante”, ha dichiarato l’Ammiraglio Pierre Vandier, Comandante Supremo Alleato per la Trasformazione.
Il punto di svolta: incursioni e pressione ai confini
Parallelamente, la Commissione Europea ha svelato una roadmap difensiva 2030, che pone al centro un progetto “flagship” per costruire un sistema anti-drone paneuropeo, insieme a iniziative per rafforzare la mobilità militare e la produzione congiunta di capacità strategiche. Questi annunci rappresentano un passo concreto nel tentativo congiunto di NATO e Unione Europea di rispondere a una minaccia emergente che, nei fatti, sta già cambiando i confini della sicurezza europea.
Dall’inizio del 2025, l’Europa ha assistito a una crescente ondata di episodi riconducibili a droni non identificati, soprattutto lungo il confine orientale. In estate, Varsavia aveva denunciato la violazione del proprio spazio aereo da parte di oltre venti droni russi non armati, interpretati come una forma di pressione ibrida. Anche nei Paesi baltici e in Romania si sono registrati incidenti simili, che hanno spinto le autorità europee e la NATO ad accelerare lo sviluppo di contromisure tecnologiche. Il ministro degli Esteri polacco aveva definito quell’incursione “tatticamente stupida e controproducente”, sottolineando che l’obiettivo di Mosca potrebbe essere quello di testare le difese europee e creare divisioni interne. Questi episodi hanno contribuito a rafforzare la convinzione che i droni siano diventati uno strumento di guerra ibrida.
I piani di NATO e Unione Europea
Secondo quanto riferito da Bruxelles, i test NATO riguarderanno tre soluzioni anti-drone diverse, già in fase di sviluppo presso aziende e centri di ricerca europei e statunitensi. L’obiettivo è individuare le tecnologie più efficaci da proporre agli Stati membri, in modo da creare un catalogo condiviso di sistemi di difesa aerea adattabili alle esigenze di ciascun Paese. Negli ultimi mesi, l’Alleanza ha intensificato le esercitazioni di interoperabilità in diversi ambiti — dai droni navali nel Baltico ai sistemi di difesa elettronica terrestre — per migliorare la risposta collettiva contro minacce aeree a bassa quota e ad alta manovrabilità. La sfida principale resta quella dei droni di nuova generazione, come gli FPV (First Person View) controllati tramite fibra ottica, difficili da intercettare con le contromisure elettroniche tradizionali.
La Commissione Europea, dal canto suo, ha presentato una roadmap che mira a colmare le lacune strategiche dei 27 Stati membri. Il documento prevede quattro progetti principali, tra cui il cosiddetto “muro anti-drone” e l’istituzione di coalizioni di Paesi guidate da capitali di riferimento, per sviluppare congiuntamente nove capacità prioritarie: missili, munizioni, sistemi anti-drone, difesa aerea e spaziale. La tabella di marcia si inserisce nel piano “ReArm Europe / Readiness 2030” e prevede quote minime per gli appalti congiunti e un ruolo centrale dell’Agenzia Europea per la Difesa. L’obiettivo è creare un mercato integrato dei materiali militari entro il 2030, in grado di sostenere una produzione rapida e coordinata in caso di crisi.
Le sfide politiche e tecniche
Il progetto per la difesa anti-drone dovrà diventare operativo entro la fine del 2027, con capacità iniziali già entro il 2026. Un’altra iniziativa chiave è la creazione, entro il 2027, di una rete europea di mobilità militare – un sistema coordinato di rotte terrestri, marittime e aeree per spostare rapidamente truppe e materiali attraverso il continente. Sebbene l’ambizione sia chiara, il percorso resta complesso. Alcuni Stati membri, tra cui Francia e Germania, hanno espresso riserve sull’idea che la Commissione Europea assuma un ruolo determinante nella definizione delle capacità militari, temendo un’eccessiva centralizzazione. Altri temono la sovrapposizione con le attività NATO o l’erosione della sovranità nazionale in materia di difesa.
Sul piano tecnico, gli esperti sottolineano che difendere un territorio dai droni richiede un sistema multilivello: radar avanzati, sensori ottici, jamming elettronico, armi a energia diretta e sistemi di neutralizzazione cinetica. La sfida è creare un’infrastruttura interoperabile, modulare e costantemente aggiornata, capace di reagire all’evoluzione dei droni di nuova generazione. Anche la questione industriale pesa: l’industria europea della difesa dovrà aumentare la produzione e la ricerca tecnologica per far fronte alla domanda, mentre la Commissione è chiamata a garantire tempi rapidi di finanziamento e distribuzione dei fondi comuni.
Le prossime settimane saranno decisive per capire l’efficacia dei test NATO e la concretezza del piano europeo. In caso di successo, entro il 2027 l’Europa potrebbe dotarsi di una rete operativa di difesa anti-drone, coordinata tra alleati e integrata con i sistemi della NATO.
In alternativa, divergenze politiche e difficoltà tecniche potrebbero rallentare il progetto, costringendo i Paesi a procedere in modo frammentato, con iniziative nazionali o regionali. In ogni caso, il messaggio politico è chiaro: i cieli europei non sono più inviolabili, e la guerra del futuro passerà sempre più attraverso droni autonomi, economici e ubiqui.