"Dittatore". "Darò più missili". "Venditore". Tutti i dietrofront di Trump su Zelensky e l'Ucraina

Nuova giravolta del presidente Usa su Zelensky: "È un venditore, stop ai soldi per Kiev". Ma sull'Ucraina ha cambiato spesso opinione. Come dimostrano le promesse di pace e gli stop-and-go delle armi

"Dittatore". "Darò più missili". "Venditore". Tutti i dietrofront di Trump su Zelensky e l'Ucraina

A dieci giorni dal vertice di Anchorage, la guerra in Ucraina resta al centro del dibattito internazionale tra diplomazia, aiuti e tensioni evidenti. Nello Studio Ovale, Donald Trump ha raccontato di aver “riparlato con Putin”: un colloquio che ha definito “buono”, aggiungendo con freddezza che “Putin non vuole incontrare Zelensky perché non gli piace”. L’ultima dichiarazione di Washington sembra racchiudere lo spirito di questi mesi: “Non spendiamo più alcun soldo per l’Ucraina, noi trattiamo con la Nato e non con l’Ucraina”, ha detto Trump, specificando che non sono state discusse garanzie specifiche per Kiev, ma che gli USA “saranno in campo per questo”. Ma soprattutto, il presidente Usa ha nuovamente definito quello ucraino "il più grande venditore del mondo". Un altro giro di valzer, insomma.

Il rapporto di Trump con la guerra in Ucraina, tuttavia, affonda le sue radici già nel 2022, quando non era presidente ma rimaneva il leader indiscusso del Maga. A poche ore dall’invasione russa, lo definì un atto “geniale” e descrisse Vladimir Putin come “savvy”, capace di giocare d’anticipo sugli avversari. Quelle parole suscitarono scalpore negli Stati Uniti e all’estero, perché lette come una giustificazione dell’aggressione. Solo pochi giorni più tardi, però, Trump cambiò registro, arrivando a definire il conflitto un “olocausto” e chiedendo a Mosca di fermarsi. Una giravolta che allora apparve come l’anticipazione di un tratto costante: la capacità di alternare ammiccamenti al Cremlino e condanne formali, senza mai stabilire una linea coerente.

Quando Trump ha vinto le presidenziali del novembre scorso, uno dei suoi slogan più ripetuti è stato la promessa di “chiudere la guerra in Ucraina in 24 ore”, sfida che aveva lanciato più volte in precedenza. Un’espressione iperbolica che ha immediatamente fatto breccia tra i suoi sostenitori e messo in allerta gli alleati europei. "Questa guerra deve finire" è apparso, dunque, il manifesto con cui il presidente si apprestava a tornare alla Casa Bianca. Nei mesi successivi, però, quella promessa si è trasformata in una serie di stop‑and‑go, oscillazioni retoriche e aperture contraddittorie che hanno lasciato Kiev e le diplomazie occidentali in stato di incertezza.

Tra fine 2024 e l’inizio del 2025, Trump ha continuato a dichiarare che avrebbe imposto una soluzione lampo al conflitto. Ma già a gennaio, pochi giorni dopo il giuramento, ha smorzato le aspettative, sostenendo di aver usato un tono “un po’ sarcastico quando parlava di una pace immediata. All’inizio del suo mandato, Washington ha anche imposto brevi sospensioni nella consegna di sistemi avanzati come i Patriot e le munizioni a lungo raggio. Le pause hanno scatenato proteste a Kiev e soprattutto allarme tra gli alleati. Di fronte alla pressione internazionale, la Casa Bianca ha invertito la rotta, approvando nuovi pacchetti militari entro l’estate.

Nel frattempo, la sua retorica si è fatta più dura con tanto di messa alla gogna del presidente ucraino alla Casa Bianca il 28 febbraio. Pochi giorni prima, lo stesso leader ucraino venne bollato come "dittatore senza elezioni". Dichiarazioni che hanno rafforzato la percezione di un presidente pronto a indugiare sulle responsabilità pur di giungere ad aperture verso Mosca. La primavera scorsa è sembrata però portare, poi, a più mieti consigli. "L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative il prima possibile per avvicinare una pace duratura. Nessuno desidera la pace più degli ucraini", chiosò Trump nel suo discorso al Congresso. Durò poco: "È molto dannoso per le negoziazioni di pace con la Russia", fu il commento di Trump alla posizione di Zelensky sul non riconoscimento della Crimea russa, il 23 aprile.

L'inizio dell'estate ha finito per confermare tutta l’altalena diplomatica di Pennsylvania Avenue. L’8 maggio Trump invocava un "cessate il fuoco di 30 giorni tra Russia e Ucraina, altrimenti più sanzioni", salvo poi, tre giorni dopo, ammettere: "Sto iniziando a dubitare che l’Ucraina riuscirà a raggiungere un accordo con la Russia". Il 14 maggio, aprendo poi uno spiraglio: "Mi stanno chiedendo di partecipare ai colloqui sulla guerra in Ucraina, sono aperto all’ipotesi, ma non so se Putin ci sarà. Vedremo". A inizio giugno, però, i toni tornavano cupi, con il racconto di un colloquio con il Cremlino: "Il presidente Putin ha affermato — e con decisione — che dovrà reagire al recente attacco sui suoi bombardieri"riferendosi a ritorsioni russe verso attacchi ucraini.. Pochi giorni dopo, al vertice NATO con Zelensky, cercò di rassicurare gli alleati: "Sto valutando di fornire all’Ucraina più missili Patriot… il presidente Putin deve davvero porre fine a questa guerra".

Il momento nodale resta però il summit del 15 agosto scorso. Nessuna svolta concreta, ma una discussione sulle possibili garanzie di sicurezza per Kiev e sull’ipotesi di un cessate‑il‑fuoco. Le trattative si sono chiuse senza accordi, con Trump che continuava a invocare un impegno rapido, mentre il Cremlino si rifiuta di incontrare Zelensky direttamente. Dalla vittoria elettorale del 2024 a oggi, Trump ha oscillato tra la promessa di pace immediata, i blocchi temporanei agli aiuti, l’idea del prestito, le pretese sulle terre rare e aperture mai chiarite su garanzie di sicurezza. In pubblico alterna toni ostili verso Zelensky e ammiccamenti verso Putin; nei fatti, continua — seppure a singhiozzo — a far arrivare armi a Kiev.

Il risultato è un messaggio ambiguo: né rottura definitiva con l’Ucraina né sostegno incondizionato, ma una diplomazia fatta di ambivalenze che tiene Kiev nel limbo, sospesa tra l’incertezza americana e la pressione russa. "La guerra in Ucraina si è rivelata uno scontro tra caratteri", chiosa Trump nello Studio Ovale. "Prima o poi vi metteremo fine".

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