Politica

Hanno svenduto anche il ministro

L’effetto corrosivo della politica romana ha fatto ieri una nuova vittima: Tommaso Padoa-Schioppa. Se avesse solo metà della dignità e della sapienza che a ragione gli è sempre stata attribuita, oggi dovrebbe presentarsi a Palazzo Chigi e rassegnare le proprie dimissioni. Invece Padoa-Schioppa prenderà un’altra strada e andrà a Bruxelles a spiegare quello che lui stesso aveva sempre «giurato» di non voler spiegare: i conti pubblici italiani peggioreranno, il deficit aumenterà più del previsto.
E non per grandi misure di sviluppo del Paese, non per la costruzione di infrastrutture indispensabili per la mobilità, non (concediamolo come ipotetica clausola di scusa) per gravi buchi di bilancio ereditati dal passato e men che mai per la riduzione delle imposte. No. Per nessuno di questi motivi il deficit italiano supererà ciò che è stato promesso a Bruxelles. Aumenterà perché il governo Prodi vuole cancellare l’innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni, che sola avrebbe messo al riparo le prossime generazioni dal buco della previdenza. Padoa-Schioppa ha ceduto su tutta la linea del rigore, che lui stesso aveva a parole ribadito solo pochi giorni fa. Il tutto si potrebbe rubricare, a parte il singolo caso umano, come cattivo commercio di un governo disperato e alla ricerca di un consenso elettorale, che tra poco farà evidentemente comodo. Eppure vale la pena fare due considerazioni semplici semplici.
La prima è economica. Il tema dell’età di pensionamento interessa molto, moltissimo coloro che vi sono vicini. E poco, nulla chi vi è lontano: i giovani, i precari, i disoccupati. Per compiacere subito gli 86mila dipendenti che sarebbero stati colpiti dallo scalone di Maroni (il passaggio brusco a 60 anni) il governo ha ipotecato la tenuta di un sistema previdenziale che in qualche maniera dovrà coprire anche i giovani di oggi. È facile prevedere che nel 2030 i frutti avvelenati di questa scelleratezza non riguarderanno Prodi e Padoa-Schioppa. I giovani commossi ringraziano.
La seconda considerazione è prettamente politica. È sin troppo banale (e vero) dire che il governo ha ceduto ai ricatti della sinistra massimalista. Lo capisce anche Pluto. Ciò che si tende a sottovalutare è che della manovra, se passa, saranno complici anche i cosiddetti riformisti.

Che fine hanno fatto i radicali alla Capezzone? Dove lo mettiamo l’appello di Dini, Morando, Rossi e Polito (tre senatori in una Camera in cui le maggioranze si reggono con la flebo) a «non gettare il tesoretto per lo scalone»? La rendita di posizione dei riformisti del governo Prodi, giocata sull’alzata di sopracciglio alle scemenze politico-economiche, prima o poi si azzererà. Questo è un governo massimalista che ha contagiato tutti. E non un governo di riforme con qualche punta estremista, come taluni cercano di far intendere.

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