«Ho tolto il cinturone e mi sono tuffato: inutile»

Un carabiniere ha tentato di salvare l’impiegata italiana di 41 anni uccisa dal compagno macedone

Una storia banale nella sua crudeltà: lei voleva lasciarlo e lui l’ha ammazzata, buttandola nel Naviglio e tenendole la testa sott’acqua. A ventiquattr’ore di distanza dal brutale omicidio, i carabinieri stanno ormai definendo i contorni del delitto, anche se l’uxoricida, un macedone di 42 anni, uno in più della vittima, ancora in stato di grande agitazione, riesce solo a farfugliare frasi senza senso per spiegare un delitto consumato davanti agli occhi di decine di impotenti.
Sono infatti da poco passate le 21 di sabato, quando l’attenzione degli automobilisti in transito su via Chiesa Rossa e Alzaia Naviglio Pavese, viene attratta da due corpi che si dibattono nell’acqua gelida. Un tassista di 37 anni si lancia in acqua. Ma è già troppo tardi, riesce solo a ingaggiare una violenta colluttazione con l’assassino. Ma a quel punto stanno già arrivando i primi equipaggi dei carabinieri da Milano e Rozzano.
Alcuni militari riescono a tirar fuori il soccorritore, mentre l’assassino si dibatte e cerca di tirarli in acqua. Poi lo trascinano a riva dove si sono assiepate decine di persone. In molti inveiscono e cercano di strapparlo alle forze dell’ordine. Partono calci e pugni, poi in qualche modo l’uxoricida viene caricato su una macchina e portato in via Moscova.
Nel frattempo Francesco Stranieri, 28 anni, carabiniere scelto in servizio a Rozzano si butta nel Naviglio. «Un freddo terribile, temperatura prossima allo zero - ricorda - mi sono sfilato giacca a vento e cinturone e mi sono tuffato in acqua, in quel punto profonda due metri e mezzo». Stranieri è un provetto nuotatore, raggiunge la donna, l’afferra per un attimo poi gli sfugge. «Ho provato a seguirla, ma mi sono impigliato in alcuni arbusti e una corda» e deve desistere. Lui e il tassista, in crisi ipotermica, vengono portati all’Humanitas di Rozzano. Ci riprova un agente delle volanti. Anche lui deve combattere contro il freddo e la corrente, ma riesce ad afferrare il corpo e agganciarlo alle funi lanciate dai vigili del fuoco. Tutto inutile, morirà un paio di ore dopo al San Paolo. Poco distante i carabinieri trovano la loro Polo Volkswagen ferma, con la porta passeggero aperta e l’abitacolo sottosopra. Con ogni probabilità l’alterco è nato lì dentro, poi la donna ha tentato una disperata fuga, è stata raggiunta ed è caduta, o è stata buttata nel Naviglio.
Lei è Ripalta Di Francesco, 41 anni, originaria di Matera, il suo assassino Kerin Guner, 42 anni, nato a Skopie, entrambi residenti in via Palmieri a Milano. Secondo quanto biascicato dal macedone in caserma, dovrebbero essere insieme dal ’91, non è chiaro se sposati o conviventi.

Lei lavorava come impiegata in un centro assistenza, lui disoccupato, faceva saltuariamente il buttafuori nelle discoteche milanesi. La loro storia era finita, lei ha provato a lasciarlo. E lui ha reagito nel solo modo che conosce: «O mia o di nessuno».

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