Gianandrea Zagato
Le associazioni dei ciclisti milanesi bocciano i candidati dell’Unione. E, attenzione, si tratta di associazioni tutte ma proprio tutte legate al centrosinistra: dalla «Ciclofficina popolare della Stecca» a «Ciclobby» passando per «Datecipista», «Ruota libera» e «Criticalmass». Come dire: i quattro aspiranti sindaci non passano l’esame davanti agli amanti dei due pedali che, all’ombra della Madonnina, sognano Milano come Amsterdam quale «concreto progetto per amministratori illuminati».
Aggettivo, quest’ultimo, non coniugabile quindi né per Bruno Ferrante né per Dario Fo e né tantomeno per Milly Moratti e Davide Corritore. Tutti bocciati senz’appello perché «impreparati» sul tema della mobilità. Votazione assunta a stragrande maggioranza, dopo che hanno speso novanta minuti della loro campagna elettorale per illustrare idee e progetti sul tema. Risultato democratico sgradito però dai quattro candidati alle primarie dell’Unione. «Apprezzate il fatto che non vi abbiamo fatto una lezioncina» (Corritore), «Ora parte una campagna di certa stampa per far montare l’odio contro le bici» (Fo), «Io non tollero che mi si dica così» (Milly Moratti). Che poi aggiunge: «Milano può diventare una città a misura di bicicletta, anche per chi ci viene a lavorare tutti i giorni». E Ferrante? Dopo aver confidato che «Milly ha ragione», dietro consiglio di Pierfrancesco Majorino, segretario cittadino ds, promette «un nuovo incontro post primarie per costruire un programma di governo della città, che tenga conto delle vostre indicazioni».
Finale di uno spettacolo quantomeno fantasioso messo in scena alla libreria Tikkun, dove per accaparrarsi il consenso dei duecento e passa «ciclisti utopisti», come si autodefiniscono, Ferrante getta alle ortiche il suo sbandierato aplomb: «L’obiettivo è battere il centrodestra, non dimenticatelo. Bisogna vincere le elezioni contro i poteri forti che vendono petrolio e che non costruiscono biciclette». Uscita accolta tra gli applausi e tra i sorrisini degli altri competitor, esclusa Milly Moratti per ovvii motivi familiari. Chiaro segnale di imbarbarimento della campagna elettorale delle primarie ad opera di un candidato consapevole dei sondaggi che lo danno al 45 per cento contro il 43 per cento assegnato a Fo.
Ragione di più, secondo Ferrante, per battere sui tasti più graditi dal popolo della sinistra, «il centrodestra non ha mai ascoltato i cittadini: è un termine che non hanno nel loro vocabolario. Noi vogliamo una vera democrazia, non quella che ci vuole vendere Berlusconi che quando gli fa comodo va a palazzo di giustizia a raccontare i suoi gossip». Stupore degli altri competitor, anche di Fo che l’ex prefetto pur di sottrargli voti alle primarie è pronto a superare a sinistra, a sposare cioè le tesi care ai girotondini e ai giustizialisti d’assalto. Che non colgono fino in fondo il messaggio un po’ ambiguo lanciato poi da Fo a proposito dei «costruttori milanesi, i soliti noti, che si spartiranno pezzi di città» e che, secondo i supporter del Nobel, avrebbero «affinato» i loro contatti con l’ex prefetto. Chiaro che la cosa non finisce qui.
Oggi si replica il confronto a quattro: appuntamento al teatro Strehler, dove Fo promette di dare fuoco alle polveri per «liberare Ferrante» dall’ombelico dei Ds.
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