Un antipatico in mutande (capitolo 13, pagina 162). Nove anni al governo di una metropoli che cambia, come recita il sottotitolo della Stanza del sindaco (Oscar Mondadori, 192 pagine, 9,40 euro), prima e non ultima fatica editoriale di Gabriele Albertini che con Carlo Maria Lomartire raccoglie ricordi e istantanee di unesperienza da primo cittadino.
Si parte con lepitaffio, con lanomalia del primo sindaco «non politico» toccato in sorte a una città che dopo luragano di Tangentopoli è in cerca di una strada diversa. «Non ero mai stato neppure sfiorato dallidea, non dico di fare il sindaco di Milano, che mi è sempre sembrata una cosa enorme, ma neppure di occuparmi di politica - lincipit -. Sebbene, naturalmente, io abbia le mie idee, di tipo rigorosamente liberale e consideri lamministrazione di una città, in particolare di una grande città come Milano, qualcosa di più vicino allattività imprenditoriale che alla politica». Parola di un amministratore che, capitolo dopo capitolo, sembra sempre meno di condominio. Come dimostra una personalissima galleria che mette in fila Silvio Berlusconi, «il mio amico Indro» , il cardinale Carlo Maria Martini e il sindaco di New York Rudy (così lo chiama) Giuliani), ma anche il «grande inquisitore» Francesco Saverio Borrelli. E poi tanti altri nella galleria di foto al centro del libro, a partire da Papa Giovanni Paolo II, la regina Elisabetta dInghilterra in visita a Milano, il presidente cinese Jiang Zemin, quello russo Vladimir Putin, Carlo Azeglio Ciampi, i sovrani Rania e Abdullah II di Giordania. Ma anche flash da Kabul con i bambini afghani o momenti di sport come il ritorno da Manchester con il Milan vincitore della Champions League e la serata alla Scala con Michael Schumacher e la Ferrari.
Una stanza che le manca? «Confesso di no, sinceramente - ha risposto ieri Albertini presentando il suo libro a Telereporter durante la trasmissione di Marco Oliva -. Non sono mai stato capace di dire bugie. Non mi manca nel senso che nove anni in un luogo logorante, esposto, complesso, sono un turno di guardia da cui ci si distacca, finito il lavoro, con una certa soddisfazione, tranquillità e serenità». Una stanza in cui si può anche piangere. Come «per i morti di Linate o per quelli del rogo al Galeazzi». Dolori, ma anche qualche sorriso. «Come quando improvvisamente arrivò Naomi Campbell e guardavo Palazzo Marino paralizzato di fronte alla sua bellezza». Pochi i rimpianti. «Avrei voluto stringere la mano a George Bush, capire un po di più della sua psicologia». Delusi resteranno i maligni. Per lacerrima nemica Ombretta Colli, la signora Provincia protagonista di memorabili litigate, «solo un accenno». Il presidente della Provincia Filippo Penati? «Poche righe. Non credo di dover fare la pace con nessuno, perché non ho mai fatto la guerra. Semmai ho cercato di difendere i diritti dei milanesi». Storia di un sindaco che vorrebbe menar tutti per il naso facendosi passare per marziano.
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