Cronaca locale

I nuovi asceti? Sono in metrò

Q uesta non l'avevamo mai sentita: la metropoli tutto ci poteva sembrare tranne un posto in cui contemplare, meditare, mettersi sulle tracce di noi stessi e del divino. Ma anche in questo luogo-nonluogo, nodo di paradossi e solitudini affollate, possiamo interrogarci sull'enigma dell'essere. Un ascetismo in controtendenza, insomma. Duccio Demetrio, professore di Filosofia dell'educazione all'università di Milano Bicocca, sta lavorando al libro «Ascetismi metropolitani», che uscirà a settembre. Un titolo che sembra un ossimoro, una contraddizione in termini. Ma come? Dov'è finita la città chiassosa e irta di insidie che i sapienti, nei secoli, ci hanno insegnato a guardare come un luogo di perdizione, inganni, passioni violente? Dov'è la Roma di cui si lagna Giovenale nelle sue satire? E la Napoli che fagocita il povero Andreuccio nel Decameron? O la Milano manzoniana, che svela a Renzo la rabbia e la malattia? Demetrio sembra lasciare da parte questa immagine della città per fare posto a un luogo di riflessione e di rilettura del quotidiano. Un'idea che, a esser sinceri, un po' ci spiazza. Spiega l'autore: «Ha centrato il punto: l'idea di ascetismo evoca luoghi solitari, eremitici, dove gli uomini che hanno fatto una scelta religiosa cercano di avvicinarsi alla divinità e avvertire la presenza del divino. La parola stessa, già nell'etimo greco, indica uno sforzo, un esercizio, un tendere verso qualcosa. Nelle tradizioni religiose di tutto il mondo l'asceta si sente staccato dalla città: ricerca piuttosto i luoghi del silenzio e dell'isolamento».
Ecco, qui c'eravamo fermati noi. Ma Demetrio da qui prende il via. «A partire da questa premessa mi sono domandato se un ascetismo fosse praticabile in contesti tutt'altro che appartati, e da qui l'idea dell'ascetismo urbano. Nel libro che sto ultimando mi pongo innanzitutto una domanda: chi non crede può vivere e sperimentare una sua ricerca di assoluto, e quindi un suo ascetismo?». La tradizione filosofica ci insegna che è possibile una religiosità anche al di fuori di una religione. «Infatti. La via dell'ascetismo laico è ben sintetizzata da Cicerone. Per lui "religione" è l'attitudine a rileggere più volte la stessa cosa, illuminandone ogni volta un aspetto diverso». Perfetto per la città, il luogo della routine e della ripetitività. Prosegue Demetrio: «D'altra parte anche nell'esperienza cristiana ci sono asceti che hanno fatto della città il loro luogo privilegiato. San Francesco, ad esempio, o, nel secolo scorso, madre Teresa di Calcutta. Ecco, in un incontro un po' osè tra le epoche e le tradizioni è nata la mia idea di un ascetismo che non fugge dalla città, ma al contrario vi si immerge». Nel senso più letterale del termine, tanto più che qualche mese fa, a Torino, Demetrio ha guidato un gruppo di cittadini in un singolare percorso nel sottosuolo, proprio a bordo dei vagoni del metrò. Per guardarsi intorno e riflettere. Del resto la katabasis, ossia la discesa agli inferi, è un motivo ricorrente nella tradizione letteraria occidentale, a partire dalla mitologia e dall'epica omerica.
Scendere in metropolitana non è un po' aprire le porte di un inferno quotidiano? In fondo i mezzi pubblici, specie nelle città affollate, sono tra i luoghi più estranianti, in cui trasudano gli istinti primordiali... «E' lì il punto. Ebbene, anche sotto le viscere della città, in metropolitana, possiamo assumere un atteggiamento meditativo. Ci vuole molta resistenza, molta capacità di sopportazione del genere umano. Bisogna non lasciarsi assorbire dalla folla, evitare lo spaesamento, il disprezzo, l'irascibilità. Riuscire a resistere e coltivare la propria interiorità nei luoghi ingrati della vita, quelli in cui si tende a provare fastidio, a detestare tutto e tutti».
L'asceta metropolitano può e deve muoversi nella folla senza cadere nella spersonalizzazione. Ma è davvero possibile? «Credo che una città come la nostra sia abitata da molti asceti, personalità prefilosofiche che nemmeno sanno di esserlo...», azzarda Demetrio. Che prosegue: «Io parlo da pentito della metropolitana. In passato rifiutavo i mezzi pubblici, ma oggi ho riscoperto il piacere di scendere nel ventre della città, magari per riemergere in luoghi che non conoscevo, come certi quartieri di periferia». Non a caso Marc Augè nel recente libro «Un etnologo nel metrò», confessa di vedere nella metropolitana di Parigi un luogo di osservazione e di riscoperta dell'identità. «È vero, anche Augè sta rivedendo il suo pensiero. Proprio lui, che ha teorizzato i nonluoghi, ci sta dicendo che in metrò si sente più parigino che mai e terribilmente vicino alle persone, agli uomini». È un caldo pomeriggio d'aprile, il sole tiranneggia i piazzali della Bicocca. Mi immergo a Precotto, linea rossa. A Loreto guasto tecnico, scendere tutti! Nel frattempo c'è chi esce dal lavoro ignaro. La folla si accalca sulle banchine, suda, sbraita, spintona. Lo confesso, mi ci metto anch'io, asceta in nuce.

Ma da settembre, giuro, cambierà tutto.

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