Immigrato ucciso tra la folla in Centrale

Due connazionali ai carabinieri: «Eravamo lì ma non sappiamo chi fossero gli aggressori»

Paola Fucilieri

Un capannello di quattro nordafricani in piazza Luigi di Savoia, proprio dal lato della stazione Centrale dove partono le navette per Malpensa, ieri mattina, una manciata di minuti dopo mezzogiorno. Un gruppetto di stranieri come se ne vedono tanti da quelle parti e che, alla faccia della canicola, parlano animatamente per strada. La stazione e la zona che le gravita attorno restano quello che sono da sempre: il ricettacolo del degrado delle più svariate categorie umane esistenti, un «purgatorio» tranquillo solo per chi non c’è mai stato, dove l’inferno ci mette un attimo a scatenarsi. E anche da quel capannello apparentemente innocuo, all’improvviso si leva un urlo fortissimo quando uno degli stranieri estrae dalla tasca qualcosa che, più tardi, due testimoni giureranno essere un coltello (ma che, secondo i carabinieri, potrebbe anche essere un punteruolo). E con quell’arma colpisce mortalmente al cuore l’uomo che ha di fronte dopo averlo strattonato afferrandolo per un braccio, come se volesse minacciarlo.
L’ultima minaccia per Yacine Benakouche, algerino, 23enne, giovane marito e ancor più giovane padre di un bambino di appena 6 mesi nato dopo il matrimonio con una connazionale con la quale risiede qui a Milano: dopo l’aggressione fulminea Benakouche cade a terra e muore lì, sul colpo. E mentre l’erba rada e il cemento del suolo si colorano del rosso del suo sangue, il suo assassino si dilegua in fretta e furia in compagnia degli altri due connazionali.
Così descriveranno poco più tardi la scena due testimoni, pure loro algerini, presentatisi spontaneamente lì, in piazza Luigi di Savoia, ai carabinieri del nucleo operativo intervenuti sul posto, per raccontare quello a cui avevano assistito. Un omicidio in piena regola, un gesto efferato.
Un paio d’ore più tardi in caserma, negli uffici del comando provinciale di via della Moscova, si ritrovano così i testimoni (uno molto chiaro nella sua deposizione, l’altro decisamente meno), la moglie del morto e il magistrato di turno, Grazia Pradella. L’algerina non sa darsi pace. Piange disperata e non riesce a spiegarsi quanto è accaduto. «Io ho il permesso di soggiorno, mio marito invece è irregolare e ha un piccolo precedente per furto, ma non posso immaginare chi abbia potuto condannarlo a questa terribile fine. Non so nemmeno che cosa ci facesse a quell’ora a due passi dalla stazione» ripete tra i singhiozzi la poveretta.

Anche i testimoni algerini non solo non sono riusciti a comprendere i motivi che hanno scatenato la furia improvvisa dell’assassino, ma sostengono di non sapere di chi si tratti. L’uomo, infatti, fino a ieri sera, non era ancora stato identificato.

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